Volvo, da tempo conosciuta come il pioniere del downsizing e delle ibride plug-in, ha compiuto un ripiegamento strategico. Dopo aver coraggiosamente promesso nel 2021 che sarebbe passata al solo elettrico entro la fine del decennio, gli svedesi (con supporto cinese) hanno accantonato l’ambizione. Il nuovo obiettivo è raggiungere una gamma elettrificata al 90%, composta sia da ibride che elettriche.
Il simbolo di questa ritirata strategica è la Volvo XC70 rinata e attesa intorno al 2027. Questo modello punta tutto su una configurazione ibrida plug-in a lungo raggio, vantando una batteria da 39,6 kWh e un’autonomia elettrica fino a 180 km, calcolata secondo l’ottimistico ciclo di prova cinese, il CLTC.
Nel frattempo, la famiglia di veicoli elettrici si amplia, affiancando i modelli esistenti con un notevole gap tra i subcompatti e i grandi SUV e monovolume. Qui entrano in gioco i veri eroi della narrazione, i rumors e i creatori di contenuti digitali. Secondo l’artista Andrei Avarvarii, il passo successivo di Volvo sarà la EX60, con un lancio previsto tra il 2026 e il 2027. Questa si posizionerà naturalmente accanto alla XC60 rinnovata, sfruttando la nuova piattaforma SPA3 di Volvo.

La piattaforma SPA3 è la vera speranza tecnologica, promettendo “pacchi batteria strutturali più leggeri e con maggiore densità energetica” e un’efficienza dei motori elettrici che dovrebbe raggiungere un notevole 93%. Peccato che, con un anno di attesa prima del lancio ufficiale, i dettagli tecnici siano pochissimi e nessuno sappia nulla di certo sul design.
Avarvarii ha comunque voluto dare vita a rendering speculativi che raffigurano la Volvo EX60 come un SUV elettrico premium dal prezzo presumibilmente elevato, giustificato dal design all’avanguardia e dall’attenzione alla sostenibilità.

Il suo concorrente, il nemico che non dorme mai, sarà la rinnovata Tesla Model Y. La mossa di Volvo di mantenere i motori a benzina molto più a lungo di quanto promesso, unita alla dipendenza dai cicli di omologazione locali per vantare autonomie da record, suggerisce un dato innegabile. La transizione è meno radicale di quanto l’ambizione svedese avesse inizialmente fatto credere.
