Gli incentivi per la rottamazione delle auto avrebbero dovuto rappresentare un volano per la transizione ecologica e per il rilancio del mercato, ma la realtà si sta rivelando molto diversa. L’ultima misura varata dal Governo sembra infatti riuscita nell’impresa di scontentare praticamente tutti: clienti, concessionari e persino i costruttori, solitamente i primi a beneficiare di questi aiuti.
Per i consumatori, l’accesso agli incentivi si è trasformato in un percorso a ostacoli fatto di vincoli e scartoffie. Tra ISEE, rottamazione obbligatoria, residenza limitata alle cosiddette “aree urbane funzionali” e l’introduzione dell’Eco-score (praticamente un punteggio anti-Cina relativo alla catena di produzione del veicolo), il sistema appare complicato al punto da scoraggiare chiunque. Il paradosso è evidente: l’intenzione era facilitare l’acquisto di nuove auto a basse emissioni, ma la burocrazia ha reso l’iter così complesso da spingere molti a rinunciare.

Anche i concessionari non nascondono la loro frustrazione. Massimo Artusi, presidente di Federauto, ha sottolineato come questi incentivi distorcano il mercato: creano picchi di domanda legati all’arrivo dei fondi, seguiti da periodi di stasi, con conseguenze negative sull’intera filiera. I dati confermano la sua analisi: 597 milioni di euro sono serviti a sostituire appena 38mila vetture, un risultato minimo se confrontato con un parco circolante di 41 milioni di auto. Una goccia nell’oceano.
Il malcontento è arrivato anche dai costruttori. Alfredo Altavilla, a capo di BYD Europe, ha definito gli incentivi italiani “una cagata pazzesca”, citando ironicamente il ragionier Fantozzi. Ma la sua critica non si è fermata alle parole: la casa cinese ha infatti lanciato un’iniziativa parallela, ribattezzata “CASI-NO Incentivi”. Un bonus fino a 10.000 euro senza burocrazia né vincoli, valido fino al 30 settembre 2025 per chi sceglie un’auto BYD elettrica.

Il problema, secondo Artusi, è che il meccanismo non produce un vero cambiamento. La quota di mercato delle elettriche resterà inchiodata intorno al 5-6%, troppo poco per innescare una rivoluzione. Il risultato è un sistema che dovrebbe accelerare la transizione ecologica ma che, nella pratica, appare inefficace e frustrante per tutti gli attori coinvolti. Alla fine, dunque, gli incentivi si trasformano in un rompicapo kafkiano, più utili a generare malcontento che a rinnovare il parco auto.