Eravamo appena usciti dall’incubo, convinti che la grande crisi dei chip che aveva paralizzato la produzione automobilistica globale fosse stata archiviata come un brutto ricordo. E invece, come un dejà vu maledetto, l’industria automotive europea si trova di nuovo sull’orlo di un baratro produttivo a causa di una rinnovata e inaspettata carenza di semiconduttori.
Questa volta, l’epicentro del problema è l’azienda olandese Nexperia, specializzata nella produzione di semiconduttori su larga scala e fornitore cruciale di microprocessori utilizzati nelle unità di controllo elettronico (ECU) dei veicoli. Il paradosso è cinico e globale: la carenza non è dovuta a dei problemi tecnici, quelli che potrebbero rappresentare degli impedimenti concreti. Si parla, ancora e come sempre, di tensioni commerciali, di minacce e controminacce, misure e contromisure, che alla fine della fiera danneggiano tutti coloro occupano il posto di può solo “restare a guardare come finisce”.

Tutto ruota intorno a un feroce conflitto politico e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Nexperia, pur essendo basata nei Paesi Bassi, era parte del colosso cinese Wingtech Technology. A causa delle crescenti pressioni e preoccupazioni sulla sicurezza economica nazionale da parte del governo olandese, e in un contesto di tensioni internazionali in cui gli Stati Uniti premevano per rigide verifiche sulle esportazioni, il gruppo asiatico ha reagito.
La reazione è stata quindi drastica: blocco delle esportazioni dalla Cina dei chip prodotti nelle fabbriche di Nexperia. Questo ha immediatamente interrotto le forniture di componenti vitali per una bella fetta della catena di approvvigionamento globale dell’automotive.

L’ACEA (Associazione dei Costruttori Europei di Automobili) ha lanciato un allarme analogo a quello del periodo 2020-2023, avvertendo che l’intera industria auto europea rischia lo stop entro poche settimane. La dipendenza da questi piccoli chip, essenziali per gestire tutto, dal motore al freno, dimostra quanto sia fragile la nostra ambizione della “necessaria” transizione energetica basata su auto elettriche e ibride. Queste, d’altronde, richiedono una quantità sempre maggiore di elettronica. E di benevolenza cinese.