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Ferrari 849 Testarossa: perché prende il nome da un modello e si lega nello stile a un altro?

Questa supercar ha prestazioni e tecnologia da sogno, ma alcuni interrogativi “filosofici” restano aperti.

Ferrari 849 Testarossa
Foto Ferrari

La nuova Ferrari 849 Testarossa è nata per prendere il posto della SF90 Stradale, di cui è una corposa evoluzione, dallo stile molto diverso. Qui il livello tecnologico, aerodinamico e prestazionale si spinge verso lidi mai visti prima nella produzione “ordinaria” del “cavallino rampante”. Solo un paio di limited edition fanno meglio di lei sulla pista di Fiorano: la SF90 XX Stradale e, soprattutto, la F80.

Il salto in avanti rispetto all’auto rimpiazzata è di grande portata, tanto che non è improprio parlare di un prodotto inedito. Peccato per l’estetica, sotto le aspettative. Inutile girarci attorno: gli appassionati e, forse, gli stessi clienti si aspettavano un design migliore. Questo non significa che sia un’auto poco coinvolgente. Tutt’altro. Diciamo soltanto che l’esecuzione grafica poteva essere gestita meglio. A parziale giustificazione delle scelte estetiche, diciamo che qui il peso specifico dell’aerodinamica è stato prioritario, tagliando in parte le ali ala ricerca di linee più armoniche sul piano visivo.

Altro elemento di forte discussione, sui social, è stato l’uso del nome Testarossa, che rende ancora più “imbarazzante” la sua estetica, rispetto al capolavoro degli anni ’80. Molti digeriscono male la connessione con l’iconica supercar usata nella serie televisiva di Miami Vice, che avrebbe meritato una migliore salvaguardia della sua sacralità. Oltre all’uso infelice dell’iconico nome, viene contestato il suo accostamento alla 12 cilindri disegnata da Pininfarina, fatto con un modello di architettura motoristica diversa: 6 cilindri, oltretutto turbo e ibrido.

Ai più sfugge inoltre il senso dell’uso di quella nobile sigla per una vettura come la Ferrari 849 Testarossa che nel design si concede richiami a due modelli diversi, che poco hanno da spartire con le alchimie dialettiche della GT del 1984: la splendida 512 S e la 512 M degli anni ’70 (quest’ultima evocata dalla versione Assetto Fiorano). Richiami concentrati, in pratica, nel solo specchio di coda, e messi in risalto dalle due appendici alari poste ai suoi margini destro e sinistro. In effetti, i vertici di Maranello potevano percorrere una strada diversa, ma visto che le cose sono andate come sono andate, è meglio fare un po’ di chiarezza.

Quadro sinottico. Domande e risposte

Ferrari 849 Testarossa
Foto Ferrari
  • Qual è stata la prima vettura a portare la sigla in esame? La Ferrari 500 TR del 1956, dove le due lettere finali sono l’acronimo di Testa Rossa, scritto in modo staccato.
  • C’è stata un’altra vettura a portare questa denominazione? Sì. È stata la 250 Testa Rossa (anche qui con parole separate) del 1957. Le sue evoluzioni, compresa la 330 TR, continuarono ad usare l’appellativo, come acronimo.
  • Quando giunse il nome Testarossa unito? Nel 1984, col debutto, al posto della 512 BB, della fantastica GT di Pininfarina che ha infiammato e continua ad infiammare i cuori degli appassionati.
  • È sbagliato l’appellativo Testarossa aggiunto in coda alla sigla della nuova 849? Da punto di vista etimologico no, perché anche qui ci sono i coperchi delle punterie rossi. A questo e non ad altro si lega l’origine del nome. Per il resto, invece, non c’è una connessione con le antesignane, né sul piano del carisma né su quello culturale o filosofico.
  • Il fatto che la 849 non sia V12 pesa? Sicuramente sì, in termini emotivi e sentimentali, ma non tutte le auto con i coperchi delle punterie rossi sono state a 12 cilindri. La 500 TR, infatti, ne aveva solo 4 in linea. Al netto dei bolidi da corsa, però, bisogna dire che l’unica granturismo Testarossa prima della 849 era mossa da un cuore con il frazionamento simbolo del “cavallino rampante”, che la legava idealmente alla 250 TR del 1957.
  • Legittimo usare il nome di un modello per un mezzo che si richiama visivamente a un altro? Qui si entra in un territorio scivoloso, dove i pareri sono opinabili. Per quel che mi riguarda, la sigla Testarossa applicata ad una sportiva i cui richiami visivi si legano alle 512 S e 512 M nello specchio di coda e, forse, alla 365 GTB/4 Daytona nella fascia nera di collegamento fra i gruppi ottici anteriori, stona un poco. Un’azienda, però, è libera di seguire la linea che preferisce, anche nella denominazione dei propri modelli. Ecco l’unica spiegazione che si può dare al quesito proposto dal titolo di questo post. Sì, ammetto che non è una spiegazione tanto logica, ma non ne vedo altre.

Una Ferrari che rimanda a un passato luminoso

Logo Ferrari

Fermo restando che l’uso del nome Testarossa per un modello incapace di esprimere, nemmeno in parte, il carisma e la vocazione al sogno della fantastica granturismo del 1984 può essere vista come una fastidiosa leggerezza filosofica e culturale, gli uomini del “cavallino rampante” non hanno preso del tutto un abbaglio. Quella sigla, infatti, si riferisce al colore dei coperchi delle punterie che, anche sull’ultima nata, sono rosse, in linea con l’etimologia dell’appellativo dato alla creatura più recente. Le origini della denominazione, inoltre, scivolano più indietro nel tempo. Il debutto avvenne con la 500 TR del 1956.

500 TR e TRC

Ferrari 500 TRC
Ferrari 500 TRC

A questo modello il nome in esame deve il suo sbarco in società. Le due lettere in coda al numero 500, identificativo della cilindrata unitaria, altro non sono che l’acronimo di Testa Rossa (scritto staccato). Alla suggestiva barchetta, vincente degli anni romantici, va il merito di aver introdotto la mitica sigla nella storia del “cavallino rampante”, per evidenziare, appunto, la tinta dei coperchi delle punterie.

Questi spiccavano con il loro tono “vermiglio” nella parte alta del motore a 4 cilindri (avete letto bene!) da 2.0 litri di cilindrata, in grado di sviluppare una potenza massima di 180 cavalli a 7400 giri al minuto, su un peso di 680 chilogrammi a vuoto. L’alimentazione era affidata a due carburatori doppio corpo della Weber.

Per incrementare ulteriormente il profilo delle performance, la sport emiliana fu affinata in epoca successiva, dando vita alla 500 TRC, sostanzialmente identica sul fronte propulsivo, ma dotata di un passo più lungo di 10 centimetri, per migliorare la stabilità in curva, a costo di un’agilità leggermente inferiore. Su questo step evolutivo, fu possibile abbassare il posizionamento del motore, con riflessi positivi sul baricentro.

250 Testa Rossa

Ferrari 250 Testa Rossa
Le feritoie frontali della 250 Testa Rossa (foto Ferrari)

La sigla in esame tornò ad albeggiare fra le proposte da corsa del “cavallino rampante” con l’arrivo della Ferrari 250 Testa Rossa (sempre in due parole distinte) del 1957, che divenne un mito nel mito di Maranello. Qui il cuore era a 12 cilindri, da 3.0 litri, alimentato da 6 carburatori Weber, per una potenza massima nell’ordine dei 300 cavalli a 7200 giri al minuto.

Un vero gioiello ingegneristico, accolto sotto il cofano anteriore di questa scultura dinamica, la cui bellezza raggiungeva il suo diapason nella versione “pontoon fender”, con le profonde feritoie di raffreddamento dei tamburi, che tanta personalità davano all’interpretazione iniziale della barchetta emiliana. La fantastica Sport tremila era plasmata in alluminio da Scaglietti a Modena, per dare un abito prezioso al suo telaio tubolare in acciaio. Le forme erano (e sono) da antologia.

Possiamo parlare di un capolavoro assoluto, capace di dominare i più importanti concorsi d’eleganza su scala mondiale, a dispetto della sua natura di bolide nato esclusivamente pensando alle corse. Grande la sintonia del modello con l’universo agonistico, testimoniata dai tre mondiali marche consegnati alla casa di Enzo Ferrari nel 1958, 1960 e 1961, anno in cui si chiuse il ciclo produttivo della 250 Testa Rossa.

Un palmares incredibile, maturato grazie anche agli aggiornamenti e alle evoluzioni, che hanno tenuto il modello sulla cresta dell’onda, consegnandolo alla leggenda sportiva. Dopo il suo congedo, per rivedere la sigla in esame fu necessario aspettare diversi anni. Il digiuno fu sospeso nel 1984, con l’arrivo della Ferrari Testarossa (scritto questa volta unito), la cui nascita avvenne per rimpiazzare la 512 BB.

La Ferrari Testarossa degli anni ’80

Auto Ferrari Testarossa
Foto Ferrari

Questa supercar, con vistose prese d’aria laterali e coda da navicella spaziale, divenne il sogno di tutti nel suo periodo storico. La conoscevano (e la conoscono) anche quelli senza passione automobilistica nel cuore. Il suo nome e le sue forme sono familiari ad ogni persona, in tutti i continenti. Del resto, la Testarossa vanta un fascino e un carisma così travolgenti che è impossibile resistere alla forza attrattiva emanata nell’aria dai suoi tratti.

È sicuramente una delle auto più iconiche di tutti i tempi. Impossibile confonderla con altre. Il suo appeal tocca vette stellari, nonostante un comportamento stradale meno performante di quanto lascino immaginare le forme. Attenzione: non stiamo parlando di un’auto lenta. Tutt’altro. Le metriche erano di riferimento nel suo periodo storico, ma il carattere dinamico risultava meno graffiante di quanto comunicato dal look da prototipo scappato dalla pista di Le Mans. Diciamo che la sua indole era soprattutto quella di una confortevole granturismo, con una spinta e un’elasticità fuori dal comune.

Per un lungo periodo di tempo la Ferrari Testarossa fu lo status symbol per antonomasia, la dream car più amata dalla gente. I poster di questo modello affollavano le case, a tutte le latitudini. Ancora oggi fa sgranare gli occhi. Solo la F40 e forse (ma non ne sono sicuro) la GTO del 1984 hanno fatto sognare di più, almeno fra le sportive di Maranello dell’era moderna.

Il debutto in società di questa suggestiva berlinetta lasciò tutti a bocca spalancata. La Ferrari Testarossa era una fantastica astronave, ma con lo stile elegante tipico del marchio emiliano. Del resto, la firma sulla carrozzeria era quella di Pininfarina: un’istituzione, per classe, bellezza e creatività.

La spinta di questo capolavoro faceva capo a un motore a 12 cilindri a V di 180° di quasi 5.0 litri di cilindrata, capace di sviluppare 390 cavalli di potenza a 6300 giri al minuto, per una velocità di punta superiore ai 290 km/h. Di questa vettura ci furono due step evolutivi: la 512 TR del 1992, da 428 cavalli, con uno stile molto raffinato, e la F512 M del 1994, da 440 cavalli, meno armonica visivamente.

849 Testarossa: un riferimento di performance

Ferrari 849 Testarossa

Poche settimane fa è venuto il turno di questa vettura ad alto indice prestazionale, fresca di debutto, il cui linguaggio stilistico ardito è fonte di accesi dibattiti in rete. Chi frequenta i social sa di cosa sto parlando. La sua tecnologia è al top e si combina a un quadro prestazionale di riferimento, cui la tela ingegneristica dà un evidente apporto.

Il compito della spinta, sulla Ferrari 849 Testarossa, è affidato a un powertrain ibrido plug-in, dominato dall’unità endotermica V8 biturbo da 4.0 litri di cilindrata, che mette sul piatto 830 cavalli. Altri 220 sono aggiunti alla scuderia dalle unità elettriche, per una potenza combinata di 1050 cavalli.

Questo si traduce in un’accelerazione da 0 a 100 km/h in meno di 2.3 secondi, da 0 a 200 km/h in 6.35 secondi, e in una velocità massima di oltre 330 km/h. Il tempo sul giro messo a segno sulla pista di Fiorano è di 1’17″50: solo la F80 e la SF90 XX Stradale, nell’ordine, fanno meglio di lei.

Basta per farle meritare l’appellativo di Testarossa? A voi la risposta. Per quanto concerne la scelta di questo nome, intriso di magia, su un’auto con design vagamente legato a modelli di sigla diversa, ho già risposto prima: non c’è una logica; si tratta solo di una opinabile scelta aziendale!