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Elettrico: perché puntare sul motore a combustione interna

Le modalità per differenziare rispetto all’elettrico ci sono. La morte del motore a combustione interna non deve essere data per scontata

Nuova 500 Elettrica

Con la transizione ecologica sempre più evidente, l’elettrico sembra farsi sempre più strada nel passaggio del testimone con i canonici propulsori endotermici. Tutti i costruttori stanno ricominciando da capo puntando su una tecnologia sulla quale forse in pochi avrebbero scommesso in passato. I vantaggi di uno o di un altro sembrano annullarsi e pare che la competizione vada in una direzione comune in cui tutti i costruttori paiono più o meno al medesimo livello.

L’elettrico però potrebbe non essere l’unica e sola soluzione, peraltro oggi imposta da specifiche normative delle quali non tutti riescono a rimanere soddisfatti e felici a cominciare da uno come Carlos Tavares che fa del pragmatismo una delle sue caratteristiche più peculiari. L’elettrico può funzionare, ma può farlo forse ancora meglio su determinati aspetti della mobilità. Perché invece non puntare sul mantenimento degli attuali propulsori endotermici potendo contare su uno sviluppo tecnologico che li rende moderni, perfettamente efficienti e poco inquinanti? Perché non puntare sull’utilizzo di carburanti dedicati: a basse emissioni ed elevata efficienza. E l’idrogeno?

L’elettrico può coabitare col resto

Insomma, l’elettrico potrebbe benissimo coabitare con le tradizionali tecnologie oggi a disposizione o meglio da sempre a disposizione per ciò che riguarda il mondo dell’auto e non. Il principale problema attuale del motore a combustione interna, in termini di emissioni, è rappresentato da ciò che questo è in grado di bruciare e quindi di produrre allo scarico. La soluzione andrebbe ricercata in tale direzione, quindi mediante un diverso approccio ai carburanti.

I biocarburanti hanno fatto passi da gigante. A Quattroruote, Giuseppe Ricci direttore Energy Evolution di ENI e presidente di Confindustria Energia ha ammesso: “con i nostri biocarburanti, a base di oli vegetali idrogenati – in breve, aggiungiamo idrogeno all’olio vegetale ricavato dai rifiuti per togliere l’ossigeno, che sporca il motore -, la riduzione delle emissioni di CO2 oscilla tra il 60 e l’80%. È chiaro che il settore della raffinazione dovrà riconvertirsi, abbandonando gradualmente i combustibili fossili. Siamo un Paese povero di materie prime energetiche e, ahimè, ricco di rifiuti. Se riuscissimo a trasformare quest’ultimi in materia prima, sarebbe una situazione win-win. Ci sono diverse tecnologie per farlo. Noi ne abbiamo due proprietarie: la prima riguarda i rifiuti organici, sottoposti a un processo di liquefazione, che permette di estrarne un olio e riutilizzare l’acqua, presente in quelli umidi fino al 70% del peso, per usi industriali. La seconda trasforma, tramite la gassificazione con ossigeno, gli indifferenziati e le plastiche non riciclabili in un gas di sintesi che può diventare idrogeno oppure metanolo/etanolo”.

Perché quindi non proviamo a ragionare verso questa direzione? Forse il peso dato all’elettrico è maggiore di ogni altra opportunità? Gli interrogativi sono ampi e variegati, ma a questi vanno poste delle risposte chiare e specifiche.

Nel frattempo un grande costruttore come Porsche, che di certo non può voler credere di migrare tutta la sua produzione verso l’elettrico, ha avviato in Cile un progetto pilota in accordo con Siemens Energy per la realizzazione del primo impianto per la produzione di e-fuel su larga scala. Si tratterebbe di un nuovo carburante sintetico ottenuto combinando anidride carbonica, proveniente dall’ambiente, con idrogeno.

Investimenti al di là dell’elettrico

Non si può però pensare di catalizzare gli investimenti esclusivamente sull’elettrico. Oggi la ricerca e i volumi produttivi di questa tipologia di carburanti non viaggia ad alta velocità. Se chi sta in alto non introduce investimenti mirati a pagarne le conseguenze sarà, come sempre, il povero utente finale.

Sempre a Quattroruote, Giuseppe Ricci ha risposto sulla questione strettamente economica della vicenda: “oggi vendiamo il nostro Eni Diesel +, che contiene il 15% di biocarburanti con idrogeno, a dieci centesimi in più del gasolio tradizionale. Se immaginassimo di commercializzare un HVO (olio idrogenato, ndr) puro, lo si potrebbe vendere al prezzo del diesel se non ci fosse l’accisa, che oggi pesa per circa i due terzi sul prezzo alla pompa e costituisce una distorsione del mercato: chi fa il pieno di energia a una BEV non la deve pagare, ma sui biocarburanti, che hanno lo stesso effetto sul clima, continua a gravare”. Il discorso rimane quindi fortemente politico accentuando una possibile disparità non del tutto chiara.

Più difficile invece la questione legata al sempre discusso idrogeno. In questo caso questo andrebbe a generare energia tramite fuel cell o intervenendo esattamente come un carburante qualsiasi. Oggi solo Toyota possiede sperimentazioni interessanti sulla questione visto che sta sperimentando un tre cilindri alimentato in questo modo, tramite conservazione in bombole ad alta pressione di idrogeno allo stato gassoso. La stessa idea positiva nei confronti dell’idrogeno è stata spesso rimarcata dal Ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che spesso non ha visto di buon occhio la propensione all’elettrico di questi ultimi tempi.

Si può quindi differenziare perché le modalità per farlo ci sono tutte e sono variegate. La morte del motore a combustione interna non deve essere data per scontata.

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