L’Europa ha deciso di compiere un gesto più concreto per l’elettrico (oltre al salvataggio recentissimo del termico da parte della Commissione europea), o almeno questo è quello che suggeriscono gli oltre 82 miliardi di euro già monitorati e destinati alle gigafactory di batterie nel Continente.
Secondo le ultime previsioni di New AutoMotive, siamo sulla buona strada per trasformarci da importatori netti a produttori autosufficienti entro il 2030. Se tutti i progetti andranno in porto, ospiteremo una capacità produttiva di 1,2 TWh, una cifra che sulla carta basta e avanza per soddisfare l’intera domanda continentale.

C’è un “ma” grosso quanto un giagimento di litio. Mentre ci siamo eccitati a costruire le mura delle fabbriche, sembra che ci siamo dimenticati di quello che va infilato dentro. L’Europa si è concentrata sulla produzione finale a scapito di una solida pipeline per la raffinazione, la produzione di precursori e i materiali anodici. Senza azioni immediate, rischiamo di “bloccare” la nostra dipendenza dai materiali importati proprio quando pensavamo di aver tagliato il cordone ombelicale, specie dalla Cina.
Per correre ai ripari, il Critical Raw Materials Act dell’Ue, in vigore ormai da oltre un anno, ha fissato obiettivi ambiziosi per il 2030. L’estrazione nazionale deve coprire il 10% della domanda e il tasso di riciclo deve raggiungere il 25%.

Nel frattempo, la politica gioca a rimpiattino con gli standard sulle emissioni. Se il piano originale prevedeva il bando totale dei motori a combustione per il 2035, i legislatori hanno adesso ammorbidito la pillola. L’obbligo di emissioni zero passerà dal 100% al 90% per auto e furgoni.
Questa mossa non è piaciuta a chi vede negli standard un “contratto di investimento” fondamentale per dare certezze a chi investe miliardi in estrazione mineraria e gigafactory. Cambiare le regole a metà partita, d’altronde, potrebbe inviare segnali confusi a un’industria che ha bisogno di tutto tranne che di incertezza.
