Ci sono auto che nascono con il destino segnato, e l’Asa 1000 GT è il manuale d’istruzioni su come creare un capolavoro meccanico e metterlo in scena come un disastro commerciale. Piccola, geniale e tragicamente incompresa, questa vettura è passata alla storia come la Ferrarina. Il motivo è semplice. La meccanica è made in Maranello, ma il Cavallino Rampante, per un cavillo contrattuale, non poteva apparire da nessuna parte.
Sviluppata dalla Ferrari alla fine degli anni Cinquanta, la genesi della “Mille” partì da un motore 850cc su telaio Fiat, per poi evolversi nel propulsore da 1032 cc, con 95 CV e 180 km/h di velocità massima, presentato a Torino nel 1961.

La produzione fu rilevata dalla Asa di Lambrate, fondata dagli imprenditori De Nora per il giovane Niccolò, con il nobile intento di regalare al pargolo di famiglia un’industria automobilistica tutta sua. Un giocattolo decisamente impegnativo.
Per rendere il telaio tubolare un’opera d’arte, fu ingaggiato nientemeno che Giotto Bizzarrini, l’ingegnere che di Ferrari se ne intendeva eccome. La dotazione era da urlo. Cambio 4+2, strumentazione Jaeger, volante Nardi e ruote Borrani. Eppure, il pubblico rimase tiepido. Forse perché nel 1965, per portarsi a casa una versione Coupé o Spider, servivano 2,5 milioni di lire. Una cifra astronomica che, unita a una rete di assistenza praticamente inesistente, decretò il flop. Persino Luigi Chinetti, l’uomo che vendeva Ferrari agli americani, fallì l’impresa di piazzarla oltreoceano.
La produzione della Ferrarina, così, amaramente, cessò nel 1967 dopo poco più di cento esemplari, realizzati tra Bertone, la carrozzeria Ellena e Marazzi, per la versione Spider in vetroresina.

Oggi l’Asa 1000 GT è una reliquia. In Italia restano al massimo una dozzina di esemplari di questa incredibile Ferrarina. Recentemente, un’asta di Bonhams Cars l’ha vista andare via per 131mila euro. Al tempo, i proprietari la riverniciavano di rosso, colore non previsto nella gamma originale, si capisce bene il perché, solo per suggerire quel legame con Maranello che il contratto vietava di urlare. Un tentativo disperato di dare un nome nobile a una meteora.
