Il tempo vola e, talvolta, stupisce per la velocità del suo passaggio. Sembra ieri, ma sono già passati 20 anni da quando, al Salone di Detroit 2005, fece il suo debutto in società il prototipo Opel Astra Diesel Hybrid. Un paio di mesi dopo, al Salone dell’Auto di Ginevra, prese forma l’anteprima europea. Quella vettura fu la prima del “blitz” a giovarsi dell’alimentazione ibrida. Un novità importante nel processo evolutivo della casa di Rüsselsheim, che non ha mai disdegnato un rapporto intimo con l’evoluzione tecnologica.
La base di lavoro fu fornita dalla versione turbodiesel del modello di ottava generazione, aprendo nuovi orizzonti ingegneristici per il marchio. La Opel Astra Diesel Hybrid aveva una forte carica innovativa, sotto la pelle. Il compito della spinta era affidato, infatti, al primo sistema ibrido bimodale al mondo.
Per dar vita a un prodotto che fosse degno di elevarsi al rango di bandiera tecnologica, il Centro Internazionale Ricerche Tecniche del brand tedesco diede fondo alla sua sapienza. Il risultato fu un’auto in grado di consumare fino al 25% in meno rispetto al modello di partenza, senza nulla togliere al piacere di guida.
La spinta faceva capo a un motore turbodiesel common-rail da 1.7 litri da 125 CV (92 kW), abbinato al già citato sistema di propulsione ibrida bimodale. Quest’ultimo si basava su una tecnologia coperta di più brevetti. Una coppia di motori elettrici a gestione elettronica azionava una serie di ingranaggi e creava una trasmissione a variazione infinita, dello stesso volume fisico di una normale trasmissione automatica. Le batterie consentivano l’uso della vettura in modalità 100% elettrica. Ai 92 kW (125 CV) del cuore endotermico si aggiungevano i 70 kW della coppia di motori a batteria.
Immutata la trazione, sempre anteriore: non avrebbe avuto senso cambiarla, per la sua efficacia e per la natura concettuale della proposta. La Opel Astra Diesel Hybrid seppe mettere in mostra le capacità innovative del “blitz” e diede una dimostrazione tangibile di quanto fosse possibile introdurre le componenti del sistema ibrido su un’auto compatta, senza inficiare il comfort garantito agli occupanti.
I due motori elettrici, da 30 kW e 40 kW, si adattavano alle esigenze contingenti, regalando un surplus energetico quando necessario oppure offrendo una marcia completamente “green”. La regia era affidata a un sofisticato sistema di gestione, che determinava le alchimie fra le due modalità di propulsione, nel segno della massima efficienza.
Il powertrain sviluppava una potenza di sistema superiore a quella, già elevata, del cuore diesel sovralimentato, spingendo l’asticella prestazionale a un livello degno di auto di maggiore cilindrata. Per dare un riferimento dinamico, citiamo un dato molto esplicativo: per completare la pratica del passaggio da 0 a 100 km/h, il prototipo Opel Astra Diesel Hybrid richiedeva meno di 8 secondi.
Nel complesso, il sistema propulsivo garantiva un sensibile contenimento dei consumi, riducendo anche le emissioni di biossido di carbonio (CO2), in un’epoca in cui questo tema era meno sensibile di quanto non lo sia ai nostri giorni. L’originale configurazione del sistema ibrido bimodale, portato al debutto dalla casa di Rüsselsheim, era suscettibile di applicazione in una vasta gamma di veicoli: da quelli a trazione anteriore a quelli a trazione posteriore o integrale; da quelli con motori a benzina a quelli con motore diesel. L’alimentazione del pacchetto elettrico era affidata a un gruppo di batterie al nichel-metal-hydride, collocate nel vano della ruota di scorta, insieme alle ventole del raffreddamento.