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3 Lancia che ogni collezionista vorrebbe in garage, come icone di stile

Nel corso della sua vita il marchio torinese ha regalato agli appassionati tante auto da sogno. Eccone alcune.

Lancia Aurelia B24 Spider
Foto Lancia

Il marchio Lancia oggi non interpreta al meglio la sua nobiltà, ma la storia che ne ha segnato le tappe, sin dalle origini, è stata ricca di modelli preziosi, dall’indole più o meno elegante e/o sportiva. La casa automobilistica torinese aveva un occhio di riguardo per l’innovazione e la bellezza: parametri che hanno scandito il suo passato, anche se negli ultimi anni questo smalto si è perso, per ragioni strategiche dettate forse da logiche finanziarie e non passionali.

In attesa di capire cosa farà Stellantis del futuro di Lancia, passiamo in rassegna tre vetture a sua firma che regalerebbero emozioni speciali a chi ama la classe e il fascino estetico e culturale. Se lo gradite, seguiteci nel nostro viaggio alla loro scoperta. In questa lista meriterebbero spazio anche molte altre opere della casa piemontese, ma ne abbiamo scelte solo alcune, rappresentative del suo luminoso passato.

Lancia Aurelia B24 Spider

A mio avviso è la Lancia in grado di coniugare meglio le note dello classe e dell’armonia, con l’aggiunta di un tocco di sportività, che non guasta mai. Senza timore di smentita, possiamo assegnarle il rango di regina di bellezza. L’Aurelia B24 è una scultura a quattro ruote, che incarna al meglio lo stile della Dolce Vita. Per lei un posto nel cuore di ogni appassionato è un fatto certo. Non occorrono sacrifici: l’ingresso nell’epicentro della sfera emotiva è assolutamente naturale per questa vettura, il cui fascino seduce in modo immediato.

Il merito è di un design elegante e senza tempo, dove l’equilibrio regna sovrano. Non stupisce che la firma sia quella di Pininfarina: solo il grande carrozziere torinese poteva raggiungere un risultato del genere, dove la ricerca estetica diventa arte. Profuma di magia la sensualità dei volumi che si offrono agli sguardi. Senza alcun dubbio si è al cospetto di una delle scoperte più belle e coinvolgenti di tutti i tempi, in senso assoluto.

Alla sua affermazione nell’immaginario collettivo diede il suo apporto il piccolo schermo, per il ruolo guadagnato nel film “Il Sorpasso”, dove accompagnò Vittorio Gassman in alcune scene. Portata al debutto al Salone di Bruxelles del 15 gennaio 1955, la Lancia Aurelia B24 fu prodotta da quell’anno fino al 1958, in meno di 800 esemplari. Questa vettura raggiunse il diapason del suo splendore nella versione Spider, con il parabrezza avvolgente e panoramico, che intrigava più di quello convenzionale scelto per la successiva versione Convertibile, plasmata in due serie.

Nello stile della carrozzeria della scoperta torinese, a prescindere dalla declinazione, emerge un perfetto equilibrio formale. Pure a cercarla, non emerge alcuna nota stonata. Niente è fuori posto: ogni dettaglio si trova proprio dove dovrebbe essere. Persino le pinne posteriori, di gusto americano, sono perfettamente intonate al quadro e concorrono al suo magnifico splendore. In casi del genere una sola parola basta a definire tutto: capolavoro.

Se la parte esteriore è al top, non meno avvincente è la meccanica, dominata dal motore V6 da 2.451 centimetri cubi di cilindrata, che ne anima le danze. Il raffinato cuore, disposto in posizione anteriore, eroga 120 cavalli di potenza massima. Siamo ben lontani dalle cifre espresse dalle auto da corsa, ma la missione della Lancia Aurelia B24 non è quella di imporsi in pista. Per delle trasferte romantiche su strade sinuose che fiancheggiano il mare, con un alito di vento sui capelli, la sua dotazione energetica basta ed avanza.

Qui c’è quel pizzico di grinta che serve, condito da gradevoli note di scarico, per vivere al meglio le emozioni en plein air. Buona la punta velocistica, nell’ordine dei 180 km/h. Ancora oggi la Lancia Aurelia B24, specie se Spider, è sognata da milioni di persone. Con lei si fa una splendida figura ovunque: dalle vie dello shopping più prestigiose del mondo ai concorsi di eleganza più rinomati, passando dai porti turistici più chic e dai cuori pulsanti delle città d’arte. Chapeau!

Lancia Stratos

Questa non è un’auto che punta all’eleganza, ma la sua sportività estrema si esprime con una coerenza linguistica così alta da renderla gradevole anche agli esteti più intransigenti. La capacità di esprimere l’estro in modo così armonioso va ascritta al talento di Marcello Gandini per Bertone. Stiamo parlando di uno che negli anni ha saputo creare diverse auto da sogno, oltre a quella di cui ci stiamo occupando: la mente corre soprattutto alle Lamborghini Miura e Countach. Penso non occorra aggiungere altro.

Sulla Lancia Stratos si coglie in pieno la sua firma. A dominare la scena ci pensano le linee tese e decise, che infondono grande carattere al suo stile. L’impressione è quella di trovarsi al cospetto di un cuneo, sapientemente modellato, per guadagnare tratti scultorei entrati direttamente nella storia, al pari delle imprese sportive compiute dal modello. Avere una vettura del genere nella propria disponibilità è il sogno di ogni appassionato. Per realizzarlo, meglio puntare sulla versione da corsa, perché è qui che lo splendore dell’auto in esame si esprime nel massimo fulgore.

Una volta che ci si mette, meglio fare le cose al top, concedendosi l’opera nella sua dimensione più alta, sia sul piano estetico che su quello sportivo e culturale. La Lancia Stratos, a mio avviso, merita il trono fra le auto da rally più emozionanti di sempre, anche se altre creature dello stesso marchio (Delta su tutte) hanno un palmares agonistico ancora più luminoso, nonostante i suoi tre titoli mondiali, guadagnati nel 1974, 1975 e 1976. Al mitico Sandro Munari andò il successo fra i piloti nel 1977, al suo posto guida. Stiamo parlando di risultati incredibili, messi a segno grazie a un pacchetto tecnico d’eccellenza.

Rispetto alle sorelle da gara più vittoriose di epoca successiva, ha un fascino più esotico e travolgente, in parte per la linea, in parte per il motore di provenienza Ferrari. Così l’amore nei suoi confronti sboccia con maggiore intensità. Prodotta dal 1973 al 1975, la coupé torinese di cui ci stiamo occupando è una vera icona. Sul suo telaio, compatto e leggero, con monoscocca centrale, trova ancoraggio, in posizione posteriore, il cuore V6 da 2.4 litri, derivato da quello della Dino 246.

Nella versione stradale la potenza massima tocca quota 190 cavalli a 7.000 giri al minuto, per uno scatto da 0 a 100 km/h in meno di 7.0 secondi e una velocità massima di 225 km/h. In quella da gara, l’unità propulsiva del “cavallino rampante”, opportunamente dopata, si spinse inizialmente fino a 280 cavalli a 8.000 giri al minuto. Con l’arrivo delle quattro valvole per cilindro andò ancora oltre, toccando quota 320 cavalli.

Facile intuire il suo tenore prestazionale, ben illustrato dalla ricchissima e sconfinata scia di successi raccolti nell’universo agonistico. La Lancia Stratos, per il tenore dei risultati sportivi e per il fascino sublime dei suoi tratti, è entrata a pieno titolo nella leggenda. Oggi è un oggetto di alto collezionismo, accessibile a pochi eletti, per le richieste fuori dalla portata dei comuni mortali. Averne una in garage è il desiderio di ogni cultore dell’arte a quattro ruote.

Lancia Flaminia Sport Coupé Zagato

Auto di grande eleganza, regala un dinamismo visivo che delizia la vista, perché offerto in un pacchetto estetico di gran classe. Lo stile è quello tipicamente italiano, apprezzato in ogni angolo del mondo, per l’armonia e la raffinatezza delle sue note linguistiche. Agli occhi, sicuramente, la Lancia Flaminia Sport Coupé Zagato dona felici stimoli. Questa, a mio avviso, è una delle opere più riuscite della carrozzeria Zagato, di cui porta la firma.

L’esordio del modello prese forma al Salone dell’Auto di Torino del 1958, dove seppe catturare gli sguardi dei presenti, per il fascino portato in dote con naturalezza. Versione muscolare dell’omonima berlina, entrava nel cuore decisamente meglio dell’altra, per le sue alchimie votate al dinamismo dialettico. Un fatto connesso al fascino sportivo dell’interpretazione, gestita con grazia dal suo autore milanese. Bassa e muscolare, la Lancia Flaminia Sport Coupé miscela con impeccabile armonia il lungo cofano anteriore con la coda tondeggiante e il tetto a doppia bolla, tipico di Zagato.

L’energia dinamica del modello, inizialmente, faceva leva su un motore V6 da 2.458 centimetri cubi di cilindrata, in grado di esprimere una potenza massima di 119 cavalli a 5.100 giri, con gradevoli note meccaniche. Pur non essendo una potenza da corsa, conferiva una buona spinta all’auto, regalandole quel dinamismo annunciato senza filtri dalla silhouette. A suo favore giocavano il peso più basso rispetto alla berlina (1.200 chilogrammi) e il passo più corto, con felici implicazioni sulla verve stradale e sulla maneggevolezza, qui di livello superiore.

Anche se le performance non erano da pista, il temperamento risultava appagante. Buone le metriche, ben rappresentate dalla punta velocistica, nell’ordine dei 190 km/h, che ne faceva la regina della famiglia. Ad assicurare l’azione frenante ci pensavano dei dischi Dunlop, che sostituirono presto i tamburi dei primissimi esemplari della specie. Nel tempo di permanenza in listino, l’auto subì dei progressi qualitativi, con un migliore allestimento dell’abitacolo, reso ancora più confortevole, specie in relazione alla sua indole.

La Lancia Flaminia Sport Coupé Zagato, per onorare al meglio la sua essenza, offriva due soli posti nell’abitacolo. Entrambi ben configurati. La scocca era portante. A ruote indipendenti le sospensioni anteriori; dietro si puntò invece su quelle semi-indipendenti (schema De Dion). La trazione era posteriore, per il migliore divertimento di guida. Nel 1962 fece il suo debutto la versione Sport 3C, con alimentazione a tre carburatori doppio corpo Weber, che rimpiazzarono il carburatore singolo doppio corpo Solex C 40 PAAI di prima. Qui la potenza crebbe a 140 cavalli, per una velocità massima di 200 km/h.

Al Salone dell’Auto di Francoforte, nel settembre del 1963, fu svelata la versione con motore da 2.775 centimetri cubi di cilindrata, in grado di esprimere 150 cavalli di potenza massima, a 5.400 giri al minuto. Qui la punta velocistica si mantenne sui livelli precedenti, ma l’accelerazione e la ripresa si fecero più toniche e ancora meglio capaci di appagare le velleità dinamiche dei fortunati acquirenti del modello. Piccole e quasi impercettibili le modifiche estetiche.

fu il turno della Supersport, quasi inalterata nella meccanica, ma non coda tronca. Una soluzione a mio avviso meno riuscita di quella tondeggiante delle versioni che l’avevano preceduta in listino. Fu il canto del cigno.

Fonte | Stellantis