Ci sono auto che per anni sono state il vero cuore propulsivo di un marchio; l’alimento che lo ha tenuto in vita. È il caso della Lancia Y del 1995, nata per prendere il posto dell’Autobianchi Y10. Come quest’ultima, anche la nuova creatura si offriva agli sguardi con uno stile chic e originale. Pur essendo una city car, seppe guadagnare l’alone glamour dell’altra. Il merito è della forte identità visiva, del livello di classe degli allestimenti e della forza comunicativa delle campagne di marketing.
Con questa vettura si poteva essere visti come persone di classe in giro per strada sulla terza o quarta macchina di famiglia, anche avendo soltanto lei nel proprio garage. La cosa, da un certo punto di vista, faceva piacere. Il successo di mercato del modello trova conforto nei volumi di vendita. Furono oltre 800 mila gli esemplari piazzati nel corso del ciclo produttivo, andato avanti dal 1995 al 2003. Se si considera che il bacino di sbocco era quasi del tutto quello italiano, possiamo parlare di numeri straordinari.
Ben rifinita e originale nel look, firmato da Enrico Fumia per il centro stile interno della casa torinese, la Lancia Y regalava buoni spazi abitabili rispetto alle dimensioni esterne, che riportiamo per dovere di cronaca: 3.720 millimetri di lunghezza, 1.690 millimetri di larghezza, 1.440 millimetri di altezza. L’abitacolo era raffinato nei suoi materiali, almeno rispetto ai canoni del segmento popolare di appartenenza. A dominare la plancia ci pensava il cruscotto, disposto in posizione centrale. Ricca la lista degli optional. Il campionario annoverava anche un bel ventaglio di verniciature extra serie per la carrozzeria.
Sotto il cofano anteriore, altamente modellato, della vettura torinese, pulsavano dei motori a benzina. Nessuna unità diesel fu offerta alla scelta della clientela. L’architettura era quella classica a 4 cilindri, con cubature da 1.108 centimetri cubi con 55 cavalli, 1.242 centimetri cubi ad 8 valvole con 60 cavalli e a 16 valvole con 86 cavalli (ma anche con 80 cavalli), 1.370 centimetri cubi con 80 cavalli.
Quest’ultima unità propulsiva non fu molto apprezzata e trovò degno rimpiazzo in quella di superiore potenza da 1.2 litri di cilindrata, a 4 valvole per cilindro, con iniezione multipoint sequenziale. La stessa che equipaggiava anche la versione Elefantino Rosso, con assetto più vocato al comportamento sportivo, per superiori emozioni di guida.
Dotata di una buona verve, pure fuori dalla tela urbana, la Lancia Y regalava un adeguato livello di comfort nelle trasferte più lunghe. Cosa, quest’ultima, non certo rituale o scontata per una city car. Era la prova della sua versatilità, che diede energia propulsiva alle sue vendite, intercettando i bisogni di una clientela esigente, che cercava un prodotto piccolo ma ben fatto e di buona flessibilità operativa.
Nel corso della sua carriera, l’auto di cui ci stiamo occupando fu sottoposta a un restyling rinfrescante, quando le lancette del tempo segnavano l’anno 2000. Gli interventi estetici furono marginali, come quelli eseguiti all’interno, ma bastarono ad attualizzare il prodotto. La sensazione di lusso a bordo crebbe ulteriormente, rafforzando l’immagine di utilitaria sfiziosa che l’auto in esame guadagnò sin dalla sua presentazione. Crebbe la dotazione di serie, per trasmettere un senso di maggiore qualità.
Alla line-up standard della Lancia Y, nel corso del tempo, furono affiancate delle versioni speciali, che aggiunsero note di distinzione alla gamma. Il modello si avviò in modo luminoso verso il suo congedo, che avvenne nel mese di settembre del 2003, dopo 8 anni di onorata carriera. Al suo posto giunse la Lancia Ypsilon, che ne elevò ulteriormente i contenuti, traghettandoli in una nuova dimensione di chiccheria.








Fonte | Lancia