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Autobianchi Stellina: 60 anni per la spider in scala

Il modello non è molto conosciuto e non strappa le lacrime di piacere, ma l’Autobianchi Stellina ha pure le sue doti.

Autobianchi Stellina
Screen shot da video Gasolini

L’Autobianchi Stellina compie 60 anni. Sono passati 6 decenni dalla sua presentazione, avvenuta nel 1963. Questa vettura prese forma in poco più di 500 esemplari. Nel 1965 il suo ciclo produttivo giunse al termine. Una parentesi commerciale davvero molto breve, cartina di tornasole dello scarso successo raccolto tra la gente.

Molto piccole le sue dimensioni, con una lunghezza di 3670 mm, una larghezza di 1430 mm, un’altezza di 1240 mm e un passo di 2000 mm. Lo stile porta la firma di Luigi Rapi, che ha miscelato tratti sinuosi ad altri di taglio geometrico. L’armonia è un’altra cosa, ma la personalità non manca. La potenza è ridotta, ma basta e avanza per muovere con adeguato brio un peso di 660 chilogrammi.

Tra i punti di forza di questa spider in scala ci sono il motore e la trazione posteriore, che regalano una certa dose di divertimento di guida, anche se le reazioni non sono tranquille come su un’auto tutt’avanti. Da segnalare anche la costruzione in vetroresina della carrozzeria di questa vettura. Mai, prima dell’Autobianchi Stellina, un’automobile italiana di grande serie era stata plasmata con questo ingrediente.

I vantaggi? La leggerezza e l’assenza di corrosione. Pure i costi produttivi venivano ridotti, il che era molto importante su una vettura destinata a una fascia di mercato non certo elitaria, anche se il listino si spinse su un livello di prezzo comunque eccessivo in relazione al segmento di appartenenza.

A fare da supporto ai pannelli esterni della carrozzeria ci pensava un telaio scatolato in acciaio. La prima serie della Stellina derivava in tutto e per tutto dalla Fiat 600 D ed era spinta da un motore da 767 centimetri cubi di cilindrata, con 29 cavalli all’attivo. Nella seconda serie il motore fu portato a 792 centimetri cubi. La potenza crebbe a 31,5 cavalli. Niente di che.

Con l’iniezione energetica la velocità massima si spinse su un valore più alto di 10 km/h rispetto ai 115 km/h del modello precedente. Purtroppo l’accoglienza di mercato fu fredda, per un certo conservatorismo, ma anche in virtù del prezzo d’acquisto non proprio abbordabile. A garantire la protezione, approssimativa, dell’abitacolo dalla pioggia di questa vettura scoperta ci pensava un tetto in tela.

Gradevole l’allestimento degli spazi interni, nonostante la loro semplicità espressiva. I materiali non erano raffinati, ma scimmiottavano quelli più pregiati. Le sospensioni anteriori erano a ruote indipendenti, con bracci triangolari superiori, balestra trasversale inferiore, ammortizzatori idraulici. Quelle posteriori a ruote indipendenti, con bracci triangolari trasversali inclinati, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici.

I freni idraulici a tamburo sulle quattro ruote facevano quel che potevano in fase di rallentamento. Poco avvenente il design dei cerchi in acciaio stampato di cui era dotata. Questa vettura non è entrata nella storia dalla porta principale né da quelle laterali, ma ha portato il suo carico di novità nel segmento di appartenenza.

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