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Le Ferrari esposte al MoMA di New York: opere d’arte a 4 ruote

Non è facile ritagliarsi uno spazio espositivo al Museum of Modern Art di New York, ma le Ferrari sono opere d’arte speciali.

Ferrari F40

Al MoMA (acronimo di Museum of Modern Art) di New York hanno trovato spazio alcune Ferrari. Non poteva che essere così, visto lo spessore creativo delle “rosse”. Un posto permanente è stato riservato alla monoposto 641/2 F1 del 1990: unica auto da gara esposta al suo interno dalle origini fino ad oggi. Le fanno compagnia sole cinque altre macchine.

Nelle sale del MoMA, però, sono entrate anche altre auto del “cavallino rampante”, nell’ambito di una mostra andata in scena diversi anni fa. Il titolo di quella esposizione diceva tutto: “Un design per la velocità: tre automobili della Ferrari”. Quali erano le compagne della 641/2? Eccovi serviti: la 166 MM “barchetta” e la F40. Niente male, vero?

Ricordiamo che il MoMA sorge sulla 53ª strada, tra la Quinta e la Sesta Avenue. Eccellenza museale su scala planetaria, ha concorso in modo importante allo sviluppo dell’arte moderna. Le collezioni custodite al suo interno sono ricche e assortite, toccando diversi comparti. Questo ne fa una tappa imprescindibile per ogni turista che si rechi in visita a New York.

Ferrari 641/2

La Ferrari 641 difese i colori del “cavallino rampante” nel campionato del mondo di Formula 1 del 1990. A portarla in pista ci pensarono i piloti Alain Prost e Nigel Mansell. Anche se il titolo iridato andò ad Ayrton Senna e alla sua McLaren MP4/5B, la monoposto di Maranello giocò bene la partita. Con lei il marchio emiliano tornò a competere al vertice, dopo anni meno felici.

Alla versione iniziale fece seguito la 641/2, che ne rappresentava lo step successivo. Un aggiornamento per affinarne le doti, in modo da affrontare al meglio la seconda parte della stagione. A un esemplare di questa specie è stato riservato un posto al Museum of Modern Art (MoMa) di New York. Il merito è dell’armonia delle sue forme, che uniscono la grande efficienza alla bellezza e alla pulizia stilistica.

Semplice nella tela grafica, la Ferrari 641 F1 vantava un’efficienza aerodinamica di alto livello. Una conferma della sua genialità. Di particolare fascino le pance laterali, basse e sinuose, che ricordavano uno strumento musicale. Il corpo vettura era talmente efficiente nella gestione dei flussi, che per la deportanza non si resero necessarie appendici alari di grandi dimensioni, come succedeva invece per le monoposto dei rivali. Un vero colpo da maestri.

L’unica auto da gara al museo di New York

Anche per queste sue alchimie progettuali si è meritata un posto al MoMA, dove è esposta in modo permanente insieme a sole 5 altre automobili, nessuna delle quali da corsa come lei. Il progetto prese forma sotto l’ala creativa di John Barnard, ma fu poi sviluppato da Enrique Scalabroni e Steve Nichols. Fra i punti di forza del modello, la presenza del cambio elettroattuato, con comandi al volante, tramite paddle. Una soluzione che garantiva passaggi di marcia rapidi, consentendo al pilota di avere un controllo migliore del mezzo.

Alain Prost, noto anche come “Il Professore”, contribuì al suo sviluppo. Non ci volle molto a capire il salto di qualità messo a segno da questa monoposto. La Ferrari 641 F1 era una creatura da gara all’avanguardia. Per questo si è ritagliata uno spazio nella storia. La spinta faceva capo a un motore V12 aspirato da 3.5 litri, capace di erogare una potenza massima di 710 cavalli a 13800 giri al minuto. Le sue melodie meccaniche erano entusiasmanti. Questo cuore fece da base di lavoro per dar vita all’unità propulsiva destinata a una supercar stradale da sogno: la Ferrari F50 del 1995.

Ferrari 166 MM

L’esemplare esposto al MoMA di New York è quello appartenuto a Gianni Agnelli, che se lo fece personalizzare secondo le sue specifiche. Spicca l’elegante abbinamento fra le livrea verde e blu e gli interni in pelle chiara. Un perfetto pendant, figlio del sublime gusto estetico dell’Avvocato, che si innamorò subito del modello. Poi quella vettura passò nelle mani di Jacques Swaters, della Ecurie Francorchamps. Il soprannome “barchetta” venne affibbiato dallo stesso Agnelli, che anche qui fece scuola. Oggi quel termine disegna un’intera categoria di vetture.

La Ferrari 166 MM fu prodotta dal 1948 al 1953. Per il vernissage si scelse il Salone Internazionale dell’Auto di Torino. In quella cornice espositiva, fece incetta di consensi. Due le versioni in cui era proposta: la già citata “barchetta” e la berlinetta, che metteva un tetto sopra i due sedili. Il risultato del lavoro stilistico di Touring era di alta scuola. Quella vettura da corsa, infatti, aveva dei volumi plasmati con soave grazia, nel segno della leggerezza visiva. L’ampia calandra frontale dava una forte identità al modello, che si giovava del sistema di fabbricazione denominato “Superleggera”.

Pur se pensata per l’universo racing, la Ferrari 166 MM aveva i lineamenti giusti per sfilare con classe nei contesti più raffinati. Ecco perché non disdegnava le uscite in stile “Dolce Vita“, molto care a Gianni Agnelli. La matrice, però, era agonistica. Del resto, le due “emme” affiancate della sigla non erano messe lì per caso. Stavano infatti per Mille Miglia. Un chiaro omaggio alla gara bresciana, considerata da Enzo Ferrari come la più bella del mondo.

Un modello bello e vittorioso

Alla “Freccia Rossa” del 1949 la Ferrari 166 MM mise a segno una bella vittoria, abilmente gestita nelle sue dinamiche da Clemente Biondetti. Da segnalare, fra i tanti successi, quello conseguito dall’importatore americano Luigi Chinetti alla 24 Ore di Le Mans dello stesso anno. Un bel sigillo, che mise il boost al marchio di Maranello, in termini di notorietà.

La spinta della Ferrari 166 MM era affidata a un motore V12 da 2 litri di cilindrata, in grado di sviluppare una potenza massima di 140 cavalli a 6600 giri al minuto. All’origine di questa unità propulsiva c’era il lavoro di Gioacchino Colombo, ma gli affinamenti si giovarono dell’apporto da Musso e Lampredi. La tempra caratteriale era molto vigorosa rispetto alle altre vetture della sua classe. Un indice del profilo prestazionale giungeva dalla velocità massima, che superava quota 200 km/h.

Questa “rossa” scrisse pagine brillanti nel capitolo iniziale della storia del mito emiliano. Alla sua bontà caratteriale concorreva il telaio monoblocco in tubi di acciaio, che ospitava la carrozzeria in alluminio. Il peso era di appena 650 chilogrammi. Un cambio manuale a 5 rapporti aiutava a scaricare a terra la potenza. Oltre che al MoMA di New York, la Ferrari 166 MM ex Agnelli è stata esposta alla National Gallerie di Berlino, come esempio del design automobilistico italiano.

Ferrari F40

La Ferrari F40 è la più iconica supercar dell’era moderna. Prodotta dal 1987 al 1992, ha saputo conquistare il cuore di più generazioni di appassionati. La sua nascita avvenne dopo la GTO del 1984, per celebrare il quarantesimo della casa di Maranello. Nella sigla del modello emerge chiaramente questo omaggio anagrafico. Stiamo parlando dell’ultima auto sportiva del “cavallino rampante” nata quando Enzo Ferrari era ancora in vita. Lui la amava.

Anche in ragione di ciò può essere vista come una sorta di suo testamento spirituale, perché racchiude l’essenza del mito, in un quadro stilistico sublime. La Ferrari F40, disegnata da Pininfarina, è una scultura di straordinario pregio, entrata nella leggenda. Il suo look conquista subito l’apparato emotivo. Impossibile non esaltarsi al cospetto dei lineamenti di questa supercar, che sfoggia un’aggressività pazzesca in un quadro di grande fluidità e armonia espressiva.

Nessuna accozzaglia di elementi scoordinati: qui tutto è omogeneo e coerente, nella tela dialettica generale. Anche le parti meccaniche e strutturali seguono la stessa logica e centrano lo stesso obiettivo. Il fatto che ci sia stata una sola persona alla regia (Nicola Materazzi) ha evitato qualsiasi nota stonata. La Ferrari F40 è, probabilmente, la “rossa” più affascinante dai tempi della 330 P4. Senz’altro è quella che scatena le maggior emozioni fra le creature sbocciate negli ultimi decenni. E non parlo delle sole opere del “cavallino rampante”.

Energia e fascino inebriante

Tra le sue particolarità, il fatto di essere stata la prima auto stradale nella storia della casa di Maranello a fare ampio ricorso ai materiali compositi. Cuore pulsante del gioiello alato era un motore V8 biturbo da 2936 centimetri cubi di cilindrata. La potenza massima toccava quota 478 cavalli a 7000 giri al minuto, con un picco di coppia di 577 Nm a 4000 giri al minuto. Proverbiale il vigore con cui questa vettura scaricava a terra la potenza, incollando letteralmente gli occupanti al sedile.

Le prestazioni erano mostruose per quegli anni, con un’accelerazione da 0 a 200 km/h in 12 secondi netti, con un passaggio da 0 a 1000 metri in 21 secondi, e con una velocità massima di 324 km/h. Il peso totale di 1160 chilogrammi rendeva esaltanti le sue dinamiche, agevolando il compito del propulsore e rendendo più agile l’azione di questa straordinaria belva.

L’allestimento essenziale dell’abitacolo era un’ulteriore conferma della sua matrice racing, felicemente comunicata, fin dal primo colpo d’occhio, dalla silhouette. Quando si parla di Ferrari F40 gli aspetti sensoriali prendono il sopravvento su tutto il resto. Impossibile resistere al richiamo di questa supercar, che pochi hanno posseduto nella dimensione reale, ma che molti hanno custodito in camera come modello in scala o come poster affisso in parete. Tanto di cappello a chi ne ha firmato la nascita.

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