La recente mancata fusione tra Honda e Nissan ha acceso i riflettori su una crisi strutturale che sta travolgendo l’industria automobilistica giapponese. Un comparto un tempo sinonimo di efficienza produttiva, affidabilità ingegneristica e filiere solide, oggi sembra arrancare nel rincorrere i profondi cambiamenti imposti dal nuovo scenario globale.
Le sfide sono molteplici, lo sappiamo, ma non solo per l’auto giapponese. Dall’irruzione dei colossi cinesi specializzati in veicoli elettrici, alle tecnologie emergenti come i sistemi plug-in di nuova generazione e il range extender, fino alle pressioni geopolitiche legate ai dazi imposti dagli Stati Uniti, che alterano gli equilibri economici delle case nipponiche.
In questo contesto di profonda trasformazione, i vecchi modelli organizzativi sembrano ormai obsoleti. Emblematico è il caso di Nissan, che ha avviato un piano di ristrutturazione drastico battezzato “Re:Nissan”, acronimo di “Recovery Nissan”.

Dopo aver chiuso l’anno fiscale 2024 con una perdita netta di oltre 4 miliardi di dollari, un crollo del 90% del margine operativo e quasi azzerati gli utili, anche se con successi commerciali localizzati tra i suoi modelli, la casa di Yokohama ha annunciato misure straordinarie. Ecco quindi il taglio di 20.000 posti di lavoro, chiusura di sette impianti su 17, stop a una gigafactory di batterie e un piano di risparmio di 3,4 miliardi entro il 2026. La strategia prevede anche la sospensione di alcuni progetti di sviluppo per concentrare le risorse su nuove architetture, ottimizzazione della catena di fornitura e semplificazione delle componenti fino al 70%. L’obiettivo è tornare in utile operativo entro due anni, ma l’incertezza resta alta, tanto che Nissan ha evitato di fornire stime su utili e margini per il prossimo esercizio.
Nel frattempo anche Honda si trova sotto pressione. Pur avendo registrato un utile operativo superiore a quello di Nissan (8,4 miliardi di dollari), le prospettive del brand giapponese per l’anno in corso sono tutt’altro che rosee. Si prevede un crollo del 70% degli utili netti. L’azienda ha anche deciso di rimandare i piani per la filiera EV in Canada, complice la frenata globale della domanda di veicoli elettrici.

Honda, però, mantiene alcuni punti di forza. C’è in primis l’importante presenza nel segmento due ruote, vendite solide nei mercati chiave e un buon margine per unità, soprattutto negli Stati Uniti grazie ai modelli ibridi. La scelta di non fondersi con un partner in difficoltà come Nissan si sta rivelando una mossa oculata.
In questo scenario turbolento, anche Toyota, pur essendo il leader mondiale per volumi, non è esente da contraccolpi. I dazi americani le sono costati già 1,3 miliardi di dollari in appena due mesi. E ha dovuto rivedere al ribasso le previsioni. La sua resilienza, però, deriva da una strategia di ecosistema integrato con brand come Mazda, Subaru, Suzuki e Lexus, che le consente di affrontare le sfide con maggiore solidità.
L’auto giapponese si trova così davanti a un bivio epocale. O evolve, accettando compromessi, alleanze e innovazione condivisa, o rischia un declino simile a quello vissuto dall’elettronica nipponica. Un settore che, ironia della sorte, fu guidato da Sony, pioniera delle batterie agli ioni di litio, ma poi travolta dall’incapacità di adattarsi al rapido mutamento del settore.