Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) “capitanato” da Matteo Salvini avrebbe apparentemente calato il sipario su mesi di contenziosi pubblicando l’elenco nazionale degli autovelox autorizzati. Con la scadenza definitiva dei termini di censimento a fine novembre 2025, è entrato così in vigore un requisito essenziale per la sopravvivenza dei temuti sistemi di rilevazione. Gli autovelox non registrati sulla piattaforma telematica ministeriale devono essere disattivati immediatamente e non possono generare alcuna multa valida.
Questa manovra, introdotta dal decreto direttoriale n. 367, chiude una fase di incertezza normativa che durava da oltre un anno e mezzo, nata dal proliferare di contestazioni e sentenze (come quella della Cassazione nell’aprile 2024) che mettevano in dubbio la legittimità delle sanzioni. L’obiettivo sarebbe dovuto essere uniformare gli standard tecnici e garantire maggiore trasparenza sull’uso di questi sistemi, spesso percepiti più come strumenti per “fare cassa” che di sicurezza stradale.

Resta il nodo dell’omologazione, quel requisito che non viene certo oltrepassato da questa “autorizzazione” del Ministero. D’altronde, un semplice elenco di apparecchi non fa di questi degli strumenti omologati (secondo standard e test rigorosi).
Amministrazioni locali e forze dell’ordine sono state obbligate a inserire una serie dettagliata di dati tecnici per ogni singola apparecchiatura: marca, modello, matricola, versione software e firmware, estremi dei decreti di omologazione o approvazione MIT, ubicazione esatta e direzione di marcia. Tutte queste informazioni sono ora consultabili sul portale ministeriale, trasformando il sistema in una sorta di Grande Fratello trasparente. In soldoni, adesso (con la lista) sappiamo quali autovelox vanno bene e, deduttivamente, quali invece danno solo “fastidio” con multe, alla fine, nulle.
L’obbligo di comunicazione, inoltre, non è negoziabile: in assenza di questa registrazione, infatti, ogni sanzione prodotta risulta automaticamente nulla. Il censimento diviene dunque una condizione necessaria per la legittimità.

La Cassazione, però, ha già stabilito che non basta la semplice approvazione MIT. Un dispositivo, per produrre multe valide, deve essere omologato. Secondo le stime delle associazioni dei consumatori, una quota rilevante dei dispositivi fissi e mobili risulterebbe priva di questa omologazione aggiornata, soprattutto quelli installati prima del 2017.
A marzo, il Ministro Salvini aveva persino annunciato un decreto per dichiarare (praticamente “trasformare”) omologati gli autovelox approvati dal 2017 in poi, per poi ritirarlo goffamente due giorni dopo. La magia, si sa, non rientra tra le funzioni di un Governo. Insomma, il censimento ha fatto pulizia, ma la distinzione tra approvato e omologato è la prossima bomba a orologeria legale per gli automobilisti. Chi non si è registrato, ameno questo, avrebbe già smesso di multare. Sulla puntualità delle amministrazioni locali, però, non c’è da scommetterci troppo.
