Un operaio dello stabilimento Stellantis di Pomigliano d’Arco, ha raccontato al Corriere della Sera il paradosso della sua situazione: per percepire uno stipendio completo è stato costretto a lavorare a 1.600 chilometri di distanza da casa, in trasferta a Kragujevac in Serbia. Lontano dalla famiglia e dalla routine quotidiana, affronta turni intensi pur di guadagnare quanto previsto dal contratto italiano, mostrando le difficoltà che molti operai incontrano nel conciliare sicurezza economica e vita personale. La sua esperienza mette in luce le contraddizioni del sistema produttivo europeo e le sfide che derivano dalle trasferte internazionali imposte dalle aziende.
Il Corriere della Sera ha intervistato un operaio che da Pomigliano si è trasferito in Serbia per avere stipendio pieno
A circa due ore da Belgrado, Stellantis ha inaugurato la produzione della nuova Grande Panda, trasferendo operai dai propri stabilimenti europei per garantire 500 veicoli al giorno. Nel frattempo, a Pomigliano la situazione rimane critica: tra cassa integrazione, contratti di solidarietà e ritmi produttivi ridotti, molti lavoratori arrivano a operare solo 10-11 giorni al mese, con evidenti ripercussioni economiche e incertezze sul futuro.
“Ogni giornata di cassa significa circa 35 euro lordi in meno in busta paga. Come si fa a vivere con 1.200 euro?”, si chiede Giovanni, spiegando la scelta di trasferirsi temporaneamente a 1.600 chilometri dalla famiglia. “Qui lavoriamo su tre turni e finalmente prendiamo uno stipendio pieno, con diaria e straordinari. Non è facile, ma non c’erano alternative”.
Stellantis garantisce ai lavoratori in trasferta lo stesso stipendio previsto in Italia, che con i turni extra può superare i 2.000 euro, affiancato da un’indennità di trasferta: nei primi quindici giorni 25,82 euro al giorno più il rimborso delle spese, poi un forfait di 70 euro comprensivo di vitto e alloggio. Nonostante questo supporto, come racconta Giovanni, “riusciamo a malapena a mettere da parte un centinaio di euro”. I costi locali sono rapidamente aumentati, con affitti che hanno superato gli 800 euro al mese, rendendo la vita quotidiana in Serbia più onerosa del previsto.

La vita in fabbrica procede tra turni intensi e un contesto multietnico, con lavoratori serbi, nepalesi, marocchini e algerini. Gli italiani, molti con oltre dieci anni di esperienza, si impegnano a trasmettere competenze e suggerimenti ai colleghi più giovani. I rapporti tra operai rimangono generalmente cordiali, nonostante la marcata differenza salariale: i lavoratori serbi percepiscono tra 600 e 800 euro al mese, spesso integrando il reddito con un secondo impiego. I sindacati locali giudicano questa disparità ingiusta e potenzialmente fonte di tensioni, sottolineando i rischi di instabilità all’interno dell’ambiente produttivo.
In questo contesto, la trasferta rappresenta una necessità economica più che una scelta, un compromesso tra sicurezza finanziaria e lontananza dalla famiglia, che mette in luce le contraddizioni del settore automobilistico europeo.
