Negli anni ottanta il Gruppo Fiat era molto vivace sul mercato, con proposte interessanti in vari segmenti di mercato. Il pubblico apprezzava i prodotti a sua firma, che facevano tendenza. Talvolta diventavano anche fatti di costume. La calorosa accoglienza della gente trovava conforto nei volumi di vendita, molto sostenuti.
Erano tempi in cui la leadership, specie fra le utilitarie, non era messa in discussione. La concorrenza, almeno in Italia, non faceva paura. In quel periodo effervescente il prodotto aveva ancora un’essenza svincolata dalle dinamiche delle piazze finanziarie. Poi le cose sono cambiate. Ritorneranno più quegli anni? Difficile. Intanto godiamoci il ricordo di tre city car di riferimento del gruppo Fiat del decennio dei sogni.
Fiat Panda

La Fiat Panda prima serie fece il suo debutto in società nel 1980. Lunghissima la sua permanenza sul mercato, che andò avanti fino al 2003, a riprova della natura visionaria del progetto. Anche se disegnata da Giugiaro, non è un capolavoro di bellezza, ma sul piano funzionale ha poche rivali.
Questa superutilitaria fu in grado di intercettare i bisogni di una grossa fetta di utenza, guadagnando volumi di vendita molto sostenuti nel corso degli anni. Il merito va in gran parte ascritto ai costi di acquisto e gestione molto contenuti. Anche la versatilità del modello e la sua capacità di badare al sodo, senza fronzoli, hanno inciso positivamente sulle dinamiche commerciali.
Nonostante fosse stata pensata come una specie di elettrodomestico su quattro ruote, per ottimizzare i costi produttivi, la Fiat Panda si presentava agli occhi con tratti “simpatici”. Non faceva innamorare, ma piaceva. Nel 1981 ottenne il premio Compasso d’Oro. Penso che sulla scelta abbiano prevalso gli aspetti funzionali su quelli estetici.
In tutte le sue declinazioni, la Fiat Panda ha affollato per anni le strade italiane, dove era una delle presenze più ricorrenti. La versione 4×4 è diventata un’icona, per le sue doti off-road. Semplice e rigorosa, questa vettura ha saputo superare le insidie delle mode e, in un certo senso, ha pure scritto un trend.
Giugiaro ebbe la capacità di configurare un abitacolo sorprendentemente spazioso rispetto alle dimensioni esterne. A bordo, inoltre, i passeggeri godevano di un’atmosfera luminosa, per le ampie superfici vetrate. Inizialmente la city car torinese fu proposta nelle versioni 30 e 45.
La prima era spinta da un bicilindrico raffreddato ad aria da 652 centimetri cubi; la seconda da un quattro cilindri raffreddato ad acqua da 903 centimetri cubi. Nelle sigle di queste versioni erano riportate le rispettive potenze.
Risale al 2006 una rifrescata del modello, con nuove unità propulsive. I motori iniziali furono sostituiti da una coppia di cuori diversi: uno da 769 centimetri cubi (con 34 cavalli), l’altro da 999 centimetri cubi (con 45 cavalli nella 4×2 e da 50 cavalli nella 4×4). Erano i celebri FIRE, gioielli di grande valore ingegneristico. Nacquero così le Fiat Panda 750 e Panda 1000.
Molto grande l’appeal, fra le versioni speciali, della 4×4 Sisley del 1987, in serie limitata. Nel 1991 giunse un altro restyling, con l’adozione di una calandra simile a quella della Tipo. Anche l’abitacolo fu ritoccato.
Come riferito in un’altra circostanza, nel listino fecero la loro comparsa le versioni da 903 e 1.108 centimetri cubi, quest’ultimo a iniezione elettronica e con catalizzatore. Poi fu il turno di un nuovo cuore da 899 centimetri cubi, anch’esso con la stessa alimentazione, poi adottata anche dal FIRE 1000.
Fiat Uno

Qui il look si faceva più raffinato ed anche l’allestimento era di natura migliore rispetto alla Panda. Io la preferivo all’altra, anche se forse non suscitava lo stesso livello di simpatia, per l’aspetto meno sbarazzino. Prodotta dal 1983 al 1998, la Fiat Uno condivise con la sorella minore gran parte del cammino commerciale.
Il successo del modello fu clamoroso, con quasi 10 milioni di esemplari venduti nel corso degli anni. Anche in questo caso i lavoro stilistico fu svolto da Giorgetto Giugiaro, che seppe conferire al modello un’immagine moderna ed elegante, perfettamente proporzionata nei suoi elementi grafici. Una eccellente prova di abilità creativa, in grado di suscitare felici emozioni nella gente.
Pure questa utilitaria piacque molto al grande pubblico. Il premio Auto dell’Anno guadagnato nel 1984 diede conferma del suo valore. La Fiat Uno fece invecchiare di colpo le altre city car, almeno sul fronte stilistico, per le sue alchimie compositive, specie nella versione a 3 porte.
La prima serie, che rimase in listino fino al 1989, fu la più riuscita sul piano estetico, per il perfetto equilibrio formale. I restyling di epoca successiva compromisero il suo splendore, decretando un calo di qualità del lavoro visivo.
Oltre che bella, la Fiat Uno era pure funzionale. Garantiva buoni spazi abitabili, un discreto bagagliaio e una valida efficienza aerodinamica, ben illustrata dal Cx di 0.33. Molto apprezzata dalla clientela la versione a 5 porte della Fiat Uno, che migliorava la versatilità d’uso, in una dimensione…familiare.
Spinta inizialmente da unità propulsive da 903, 1.116 e 1.301 centimetri cubi, tutte a benzina, venne battezzata, rispettivamente Uno 45, Uno 55 e Uno 70 S. Poi giunse il motore a gasolio da 1.3 litri, messo in risalto dalla lettera D in coda alla sigla.
Un cambio di passo tecnologico fu segnato dall’esordio in gamma, nel 1985, del cuore FIRE da 999 centimetri cubi, che prese il posto di quello da 903 centimetri cubi. In questa veste la potenza massima si fissò a quota 45 cavalli.
Di notevole interesse, per gli appassionati dall’animo più sportivo, l’ingresso nella line-up del modello della versione sovralimentata a benzina: la Fiat Uno Turbo i.e., spinta da un’unità sovralimentata da 1.3 litri, in grado di sviluppare la ragguardevole potenza di 105 cavalli.
Le prestazioni erano da auto sportiva, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in poco più di 8 secondi. Incredibili le sensazioni vissute a bordo, per la forza della spinta, che all’esplosione di coppia faceva corrispondere un boost da jet militare. Alcuni proprietari di blasonate supercar di quegli anni faticarono a contenere il suo temperamento negli allunghi brevi. Su questa versione pepata, nel 1988 giunse l’Antiskid, un sistema di antibloccaggio delle ruote in frenata.
Anche la versione diesel ottenne il suo turbo, portando a 70 cavalli il vigore energetico del suo cuore da 1.367 centimetri cubi. Nel 1989 fu lanciata la Fiat Uno seconda serie, più simile alla Tipo, ma meno armonica rispetto a prima. Il Cx scese a livelli molto bassi, raggiungendo quota 0.29. I motori 1.116 e 1.301 lasciarono spazio ai nuovi 1.108 FIRE e 1.372 a iniezione elettronica. Quest’ultimo fece da base per il cuore della nuova serie della Fiat Uno Turbo i.e., ora con ben 116 cavalli in scuderia. Fu l’apice prestazionale della gamma.
Autobianchi Y10

A lei tocca il ruolo di espressione più originale e, per certi versi, stravagante del gruppo. Ciò che la differenzia da quanto visto in precedenza è il portellone posteriore quasi verticale e in tinta nera (ma ci furono serie speciali con altri cromatismi meno arditi).
Per il suo look di rottura faticò, nella fase iniziale, ad entrare nelle grazie della clientela, ma poi le cose cambiarono in modo radicale, grazie anche ad una campagna pubblicitaria fra le migliori di sempre. L’Autobianchi Y10, venduta all’estero col marchio Lancia, fece il suo debutto in società al Salone dell’Auto di Ginevra del 1985.
Nacque per prendere il posto della A112, ma era più grande e, soprattutto, più irriverente dell’altra. In un certo senso era pure sfacciata e questo fece la sua fortuna. La city car torinese, come le due cugine di casa Fiat, fu una protagonista delle strade italiane, negli effervescenti anni ottanta.
Gli spot si giovarono dell’apporto di alcuni personaggi famosi, che ne misero in risalto l’anima chic. Il claim scelto fu: “Piace alla gente che piace“. Sin da subito fece presa sul pubblico, creando un feeling col modello assente in precedenza. Questo rapporto non fu occasionale, ma ebbe continuità nel tempo, mantenendo la richiesta piuttosto sostenuta nel corso degli anni, fino al congedo di mercato, datato 1995.
Tre le serie con cui l’Autobianchi Y10 prese forma, ma qui ci occupiamo soltanto della prima, coerente con il matrimonio temporale messo a fuoco nell’articolo. In realtà il portellone posteriore del modello non è mai piaciuto veramente a nessuno (o quasi), ma fu accettato e metabolizzato come elemento di sciccosa differenziazione.
La soluzione è entrata nell’immaginario collettivo, come una sorta di elemento identificativo di quel modello e solo di quello. Parliamo di un’auto discutibile esteticamente, ma cui la personalità non faceva sicuramente difetto. Al netto del vistoso taglio della coda, la Y10 aveva forme fluide e levigate, come la Fiat Uno. Buono il suo Cx, di 0.31, a riprova dell’accurato studio aerodinamico.
Con questa vettura non si correva il rischio di passare per soggetti con l’acqua alla gola. L’opera della casa torinese era infatti credibile come terza o quarta auto personale. Una cosa che accadeva con una certa frequenza, vista la scelta di molti professionisti e uomini in carriera, che la presero come piccola di famiglia. Certo, non era uno status symbol, ma questa piccola metteva al riparo l’ego personale.
Basata sulla piattaforma della Fiat Panda, l’Autobianchi Y10 veniva percepita come un prodotto più elitario rispetto alla cugina. Del resto, anche i contenuti sfiziosi dell’abitacolo concorrevano alla causa. In alcune versioni, abbondanti distese di Alcantara avvolgevano gli spazi coperti. Buona anche la dotazione, che la poneva sopra le altre auto da città.
Sotto il cofano anteriore trovò accoglienza, inizialmente, il motore 4 cilindri FIRE da 999 centimetri cubi di cilindrata, con 45 cavalli di potenza, che assicurava un temperamento abbastanza vivace. La versione Touring, più votata al lusso, montava un cuore da 1.049 centimetri cubi, con 56 cavalli di potenza.
Meglio ancora fece la Turbo, versione pepata della famiglia, che spinse il vigore energetico della stessa unità propulsiva a 85 cavalli, grazie all’apporto della sovralimentazione. Superfluo dire che il quadro prestazionale si fece molto tonico, ma la guida al limite non era per tutti. Diverse le modifiche estetiche, specie a livello di paraurti, per dare una maggiore presenza scenica al modello.
Da segnalare la presenza in gamma, in una fase del suo ciclo di vita, della versione 4WD a trazione integrale, svelata nel 1986. A spingerla ci pensava il FIRE mille, portato a 50 cavalli. Diverse le serie speciali della Y10, come la Fila, la Martini e la Missoni. Nel 1989 giunse la seconda serie. Tre anni dopo fu il turno della terza, dallo stile profondamente diverso.
