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Le Ferrari a 4 posti di rottura sono a 4 porte: dalla Pinin alla Elettrica

La casa di Maranello si è sempre innovata, ma a volte con formule di rottura non sempre comprese.

Ferrari Purosangue

Le Ferrari a 4 posti sono state una presenza rituale nel listino della casa del “cavallino rampante“, a partire dal 1960, quando fece il suo debutto in società la 250 GT 2+2. Fu la prima auto del genere prodotta dal marchio emiliano su larga scala. Da quel momento e per un lungo arco temporale il concetto è stato interpretato con un approccio costante, senza scossoni. Il radicamento in quel filone fu mantenuto fino alla 612 Scaglietti, anche se con un livello di classe inferiore rispetto alla precedente 456.

Poi il cambio di passo, con la FF, nata in piena era Montezemolo. Questa vettura, la sui sigla è l’acronimo di Ferrari Four, introdusse, oltre alle quattro ruote motrici, un look di taglio completamente diverso rispetto a quanto visto prima. Lo schema seguito fu infatti quello della shooting break. Un cambio di passo visivo rilevante, più di quello tecnico, se vogliamo. Non tutti digerirono, ma i vertici aziendali sposarono il processo del rinnovamento. Lo fecero per appagare le richieste di alcuni owner del marchio, che volevano un’auto più comoda e capiente, in grado di accompagnarli in montagna, persino con le strade innevate.

Se la memoria non mi tradisce, Luca di Montezemolo, riferendosi alla clientela alla quale pensava per la proposta, fece il nome di Ralph Lauren. Il celebre stilista vanta una collezione di “rosse” pazzesche in garage. Peccato che non si abbia notizia della presenza nella sua raccolta personale di una FF. Gli appassionati non palesarono elementi di forte innamoramento verso quest’opera del “cavallino rampante”, nonostante lo splendore del suo motore V12, che metteva tutti d’accordo in termini di fascino e di ferrarirità. L’entusiasmo si ridusse ulteriormente con la successiva GTC4 Lusso, dove il look segnò qualche passo indietro sulla progenitrice. Ancora peggio andò con la GTC4 Lusso T, che rinunciava al V12 aspirato per un’unità propulsiva biturbo ad 8 cilindri.

Poi ancora un cambio di passo in Ferrari, che decise di rimpiazzare queste shooring break con una proposta completamente nuova e di autentica rottura: un SUV, chiamato però FUV dagli uomini di Maranello, per ridimensionare l’eresia, già a partire dall’attributo di specie. Stiamo parlando della Ferrari Purosangue, prima “rossa” ad abitacolo rialzato e a quattro porte della storia. Per gli appassionati un nuovo schiaffo, difficile da digerire.

Se lo gradite seguiteci nel nostro cammino alla scoperta delle Ferrari a quattro posti che hanno impresso un radicale cambio di passo alla tradizione, con tutte le implicazioni del caso in termini di percezione emotiva e di affetto da parte degli appassionati. Iniziamo il percorso espositivo da una concept car: la Pinin, che aprì la strada alle vetture a quattro porte del marchio, la cui prossima interprete sarà la nuova Elettrica. Passeremo in rassegna anche la già citata Purosangue, intermedia fra le due.

Ferrari Pinin

Ferrari Pinin

Questa è stata la prima Ferrari a quattro porte della storia, ma non si tratta di un modello di serie. La Pinin è una concept car sviluppata da Pininfarina, che ottenne a fatica il benestare di Enzo Ferrari, nonostante si trattasse di un esemplare unico finalizzato alla sperimentazione, anche filosofica. La sua nascita prese forma nel 1980 e, in qualche modo, portava con sé il profumo dello scandalo, anche se l’esecuzione stilistica era molto ben riuscita. Del resto, l’azienda torinese che ne firmò il design era una garanzia di qualità, sul fronte dell’estetica.

Il modello nacque nel cinquantesimo compleanno della storica carrozzeria piemontese, come omaggio a Battista Farina, detto Pinin. Si può parlare di un atto di gratitudine degli eredi verso il fondatore del marchio che ha partorito le linee di alcune delle auto più belle di sempre, Ferrari su tutte. Nello specifico, in seno alla Pininfarina, fu Diego Ottina a sviluppare il look della vettura in esame, sotto lo sguardo vigile di Leonardo Fioravanti, autore di alcune delle “rosse” più seducenti di sempre sul fronte stilistico.

Solo la griglia frontale, molto vistosa, turba i flussi moderni e scorrevoli dei volumi, creando un contrasto non proprio impeccabile con la classicità estrema cercata in questo elemento grafico. La scelta era però doverosa, visto l’intento di conferire un’impronta unica, che decretasse visivamente la provenienza del mezzo. Molto confortevole l’abitacolo, cui si accedeva in modo più facile che su altre auto del “cavallino rampante”. Il lusso qui era di casa, con abbondanti distese di pelle Connolly, il cui profumo si sente alla sola lettura del nome.

La Ferrari Pinin fu plasmata come semplice maquette di stile, ma poi venne dotata di un’unità propulsiva. E che unità propulsiva! Si tratta del motore della 512 BB. Stiamo parlando di un 12 cilindri a V, con angolo di 180 gradi fra le bancate. L’innesto fu facile, perché la vettura in esame fu progettata per accoglierlo. Come sulla “Berlinetta Boxer”, anche qui la potenza massima era pari a 340 cavalli. Anche se fu un’opera incompiuta, in qualche modo può essere vista come la madre delle auto a quattro porte della casa di Maranello. È stata lei a sdoganare in concetto, anche se sotto forma di prototipo fine a sé stesso.

Ferrari Purosangue

Ferrari Purosangue Nuova Zelanda

Porta il “cavallino rampante” sul cofano ed ha un motore V12 che strappa le lacrime di gioia agli appassionati, ma resta la Ferrari più irrituale ed anomala messa fino ad oggi in listino. Il concetto di Sport Utility Vehicle, infatti, è lontano anni luce dalla tradizione della casa automobilistica di Maranello. Il ciclo dei tempi, però, ha portato a questo, piaccia o non piaccia. Speriamo sia una moda passeggera.

Le curve sinuose e potenti della carrozzeria, firmate da Flavio Manzoni, segnano i riferimenti assoluti della bellezza fra le auto ad abitacolo rialzato. Anche la scheda tecnica è al top della specie. Se non ci fosse la firma Ferrari in coda, sarebbero solo lodi, anche da parte di chi, come me, ha un’avversione naturale per i SUV. Ma qui c’è il marchio più mitico della galassia automobilistica, che ha prodotto le migliori coupé e berlinette a 2 posti e 2+2 posti della storia. Si sperava in un cammino diverso, ma le scelte aziendali sono state queste e non resta che prenderne atto.

Il successo commerciale, ovviamente, è stato corposo, anche perché il genere tira. L’importante, a questo punto, è non svilire l’epicentro della gamma, evitando di spostarlo verso altre identità filosofiche e di prodotto, non degne dell’heritage. A Maranello sanno cosa fare, anche se il tentativo di intercettare nuove fasce di clientela può essere un esercizio rischioso.

Cuore pulsante della Ferrari Purosangue è un magnifico V12 aspirato da 6.5 litri di cilindrata, in grado di sviluppare una potenza massima di 725 cavalli. Si tratta di quadrupedi di razza, che inebriano i sensi durante la loro corsa. Le metriche sono da best in class, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 3.3 secondi e da 0 a 200 km/h in 10.6 secondi. Supera la soglia dei 310 km/h la punta velocistica. Cifre spaventose, che pochi anni fa erano un miraggio per gli Sport Utility Vehicle, ma la tecnologia ha fatto passi da gigante negli ultimi tempi, scardinando certezze consolidate.

Nel caso della “rossa” in esame, anche gli aspetti dinamici sono di alto lignaggio, a dispetto del baricentro alto. Questo rende piacevole la guidabilità, anche se l’handling non è quello delle più leggere e sportive coupé a due posti secchi del marchio. Le sonorità meccaniche, però, sono quelle giuste, ed esaltano il sistema emotivo.

Ferrari Elettrica

ferrari elettrica

Il nome non è definitivo, ma ci sono buone possibilità che lo diventi. Potrebbe sembrare una provocazione, per un accostamento che profuma di eresia, ma è il riflesso della sua natura “alla spina”. Questa sarà la prima creatura del marchio full electric. Alcuni giorni fa, a Maranello, sono stati divulgati alcuni dati relativi alla sua scheda tecnica, nell’ambito di una presentazione attesa in più step. Il debutto del modello definitivo, nella dimensione globale, avverrà nel corso del prossimo anno.

La spinta del modello sarà garantita da un powertrain innovativo, sviluppato completamente in casa, composto da quattro motori elettrici: uno per ogni ruota. Notevole la potenza complessiva, che si spingerà oltre la soglia dei 1000 cavalli. Il livello prestazionale sarà al top, in linea con la tradizione del “cavallino rampante”. L’accelerazione da 0 a 100 km/h sarà liquidata in 2.5 secondi, mentre la punta velocistica si spingerà oltre la soglia dei 310 km/h.

Con questa vettura, i vertici della Ferrari vogliono aprirsi a nuove fasce di clientela. Vogliono inoltre mostrare al mondo la capacità dell’azienda sul cui ponte di comando siedono di essere leader in tutte le salse tecnologiche. Gli appassionati classici, che hanno contribuito in modo decisivo alla nascita e all’affermazione del mito, storcono il naso al cospetto di una “rossa” a batteria. Io sono fra questi. La prospettiva del suo arrivo non mi entusiasma, ma il processo sembra incontrovertibile. Aggiungerei purtroppo.

La Elettrica sarà alimentata da una batteria da 122 kWh e potrà raggiungere un’autonomia massima di 530 chilometri. Il peso sarà abbondantemente superiore alle 2 tonnellate, che per un’auto sportiva sono davvero tante, anche se gli sviluppi ingegneristici consentono di conferire dinamiche eccellenti persino a un mezzo così corposo.

A suo favore giocheranno il baricentro basso, nonostante l’altezza dell’auto da “terra”, superiore a quella delle altre opere del “cavallino rampante”, e la risposta immediata, in accelerazione e in ripresa, delle unità propulsive “alla spina”. In attesa di conoscere il suo look e la scheda di prodotto, possiamo già inserirla nella categoria delle “rosse” più irrituali fra quelle a 4 posti e a 4 porte prodotte dalla casa di Maranello.

Con la Purosange sembrava che si fossero raggiunte le vette in questo ambito, ma con la Ferrari Elettrica ci si spinge oltre, perché manca l’anima più genuina di una “rossa”: il motore endotermico, specie se V12. Purtroppo l’euforia ecologica, a tratti integralista, che sta portando alla imposizione di questo tipo di “green”, forse più virtuale che reale, ha generato scenari invisi alla stragrande maggioranza degli appassionati e, più in generale, dei clienti del comparto automotive, che sta pagando dazio sull’altare di questa follia.