Per il Green Deal non è un gran momento. Se sino a qualche mese fa sembrava un punto irrinunciabile per l’Unione Europea, ora la sua popolarità inizia a declinare anche presso le alte sfere di Bruxelles. Come dimostra l’ultima decisione presa dalla Commissione guidata dalla Von der Leyen, relativa alla legge sulla deforestazione. Che è stata rimaneggiata in maniera tale da andare incontro alle imprese, dando vita ad una semplificazione amministrativa tale da lasciare spazio proprio a quella distruzione delle foreste che la legge, risalente al 2023, si incaricava di contrastare.
Per quanto riguarda il nostro Paese, occorre ricordare che proprio il Green Deal è oggetto ormai da tempo di furibonde polemiche. A provocarle l’accusa di affrontare la questione del riscaldamento globale in maniera ideologica, con il rischio di danneggiare l’apparato produttivo. Un tema particolarmente avvertito nel settore dell’automotive, che ha dovuto lasciare sul terreno decine di migliaia di posti di lavoro, nel corso degli ultimi anni, sacrificati sull’altare dell’auto elettrica. E la battaglia scatenatasi sul tema ha visto nelle ultime ore un nuovo atto.
Cosa afferma lo studio di T&E Italia?
Proprio di recente, è stato presentato uno studio elaborato da un gruppo di docenti e ricercatori della cuola Superiore Sant’Anna di Pisa e del Centro Ricerche Enrico Fermi di Roma. Intitolata “Tra crisi e transizione: l’industria dell’auto italiana al bivio del cambiamento”, l’analisi ha soffermato il suo sguardo sull’impatto economico e occupazionale che potrebbe avere la mancata transizione ad un modello di mobilità più sostenibile sull’industria automobilistica italiana.

La sua conclusione è stata molto accurata. Ove ciò accadesse, infatti, il costo da pagare si andrebbe ad attestare in una forbice tra i 7,24 e i 7,49 miliardi di dollari. Quelli che deriverebbero dal mix tra una riduzione del valore della produzione e un numero di posti di lavoro persi a sua volta oscillante tra un minimo di 66mila e un massimo di 94mila. Un combinato disposto tale da causare un amento di spesa per la cassa integrazione tale da arrampicarsi a quota 2 miliardi di dollari nell’arco di un decennio.
Per evitare i danni in questione, gli autori della ricerca affermano la necessità di dare luogo a un quadro di politiche industriali coordinate e articolate in quattro aree:
- stimolo della domanda interna di auto elettriche facendo leva su incentivi diretti;
- incentivazione degli investimenti in ricerca e sviluppo (anche sulle batterie);
- sostegno alla riconversione industriale;
- riduzione del costo dell’energia in maniera tale da allineare i costi con gli altri Paesi europei.
Lo studio, commissionato da ECCO (think tank italiano che si occupa di questioni climatiche) e T&E Italia, è stato naturalmente accolto con grande favore dai fans dell’auto elettrica, E con altrettanto scetticismo da coloro che non sembrano voler cedere alle lusinghe di un modello di mobilità che non preveda la presenza di motori a combustione interna.
L’attacco sferrato da Confcommercio Mobilità
A incaricarsi di criticare le tesi sostenute nello studio è stata Confcommercio Mobilità. Che esordisce affermando di rispettare l’autorevolezza dei due istituti incaricati della sua redazione. Una volta fatta questa doverosa premessa, però, la conclusione sembra non porsi il minimo dubbio, affermando che “non si può non riconoscere che la chiave di lettura del rapporto finale non si discosta dagli interessi degli ideatori del Green Deal”.

Confcommercio Mobilità prosegue poi il suo attacco contro lo studio affermando che sbaglia quando attribuisce le responsabilità della mancata transizione al mercato italiano che non premia l’elettrico e ignorando gli sforzi condotti da molti Governi dell’Unione Europea, a partire proprio da quello italiano, al fine di correggere le modalità previste nel Green Deal. Indicando nei carburanti rinnovabili lo strumento ideale per permettere una rapida ripartenza della produzione e del mercato di auto con motorizzazione endotermica.
No, non saranno gli incentivi a promuovere realmente la diffusione dell’auto elettrica
Confcommercio Mobilità prosegue poi la sua critica allo studio affermando un’altra sua debolezza, quella che vede negli incentivi una sorta di panacea di tutti i mali. I bonus per l’acquisto di auto elettriche, infatti, sono già stati utilizzati largamente. Non solo dall’Italia, ma anche dagli esecutivi di altri Paesi. Venendo infine abbandonati a causa di costi sin troppo elevati, soprattutto se raffrontati agli scarsi esiti conseguiti. Tanto da spingere Confcommercio Mobilità ad affermare che gli incentivi possono al massimo drogare il mercato per brevi archi di tempo, senza però riuscire a scalfire realmente la situazione nel lungo periodo.
Infine, la proposta per contribuire a una ripresa dell’industria automobilistica continentale: abbandonare progressivamente i carburanti fossili a favore di quelli rinnovabili (a partire dai biocarburanti) e lasciare alla tecnologia, alla ricerca ed allo sviluppo il compito di individuare la strada migliore per raggiungere un modello di mobilità sostenibile senza distruggere l’industria automobilistica.