Assistere a una flotta di Toyota nuove di zecca che sbarcano in Giappone non da Nagoya, ma dai porti statunitensi, potrebbe essere definito uno spettacolo decisamente insolito. Eppure, a partire dal 2026, assisteremo esattamente a questo fenomeno di cosiddetta (impropriamente) “importazione inversa”. La casa automobilistica numero uno al mondo ha confermato l’arrivo in Giappone di tre modelli prodotti nei suoi stabilimenti d’oltreoceano, la Camry, l’Highlander e il mastodontico Tundra.
Non si tratta solo di una mossa commerciale, ma di una vera partita di diplomazia industriale. Il gruppo punta esplicitamente a migliorare la bilancia commerciale e le relazioni tra Giappone e Stati Uniti.
Per facilitare l’operazione, il Ministero del Territorio e dei Trasporti giapponese sta studiando un sistema più flessibile per la certificazione. Pare che, quando ci sono di mezzo gli interessi geopolitici, ostacoli normativi come standard di illuminazione o dimensioni degli indicatori di direzione diventino improvvisamente irrilevanti.

La scommessa più audace riguarda senza dubbio il Toyota Tundra. Prodotto in Texas, questo pick-up colossale lungo oltre 5,80 metri sembrerà un bestione nei vicoli di Tokyo, un po’ come quelle scene di Godzilla che passeggia “amabilmente” tra i palazzi. Destinato finora solo a pochi appassionati disposti a contorsioni impossibili per un parcheggio, il Tundra cercherà ora di sedurre ufficialmente chi cerca avventura all’aria aperta.
Altrettanto curioso è il ritorno della Camry, bestseller globale che arriverà dallo stabilimento del Kentucky. Rimossa dal catalogo giapponese nel 2023 per lo scarso appeal delle berline, ci riprova tre anni dopo con il suo “passaporto americano”, sperando che il prestigio del nome basti a giustificare la reintroduzione.

Infine, l’Highlander, proveniente dall’Indiana, tornerà per colmare il vuoto lasciato dal Kluger, offrendo alle famiglie numerose una trazione integrale spaziosa per chi trova la Toyota RAV4 troppo stretta.

In definitiva, tutti giganti (in un modo o nell’altro) nati per le stradone americane che tentano così di sopravvivere nella giungla urbana giapponese. Eppure, i parcheggi di Kyoto rappresentano una realtà ben diversa.
