Ogni volta che un costruttore introduce una vettura scoperta sportiva, o magari una roadster, c’è sempre qualcuno che si chiede come sarebbe con un tetto rigido. È una curiosità ricorrente tra gli appassionati, anche perché notoriamente le scoperte sono più rumorose e meno rigide a livello strutturale rispetto alle controparti chiuse. Qualcuno stavolta ha deciso di immaginare cosa potrebbe essere una roadster a dir poco iconica con carrozzeria chiusa. A dare una risposta grafica a tali interrogativi è intervenuto Davide Virdis, designer che ha reinterpretato la Mazda MX-5, in particolare la prima generazione, trasformandola in una sorta di hot hatch a due volumi dall’estetica sorprendentemente naturale.

Il lavoro di Virdis sulla storica MX-5 segue un certo equilibrio stilistico. Il tetto viene esteso appena quanto basta, il montante posteriore inclinato in avanti senza eccedere, e l’insieme risulta armonioso.

A rendere il tutto ancora più accattivante ci pensano un assetto ribassato, un body kit discreto e un set di cerchi Mazdaspeed MS-02 firmati Rays.

Il risultato è una MX-5 anni Novanta tutta pepe dallo stile deciso e accattivante. Mazda, però, non è nuova a esperimenti con tetti rigidi per la sua celebre spider. L’attuale RF (Retractable Fastback) ne è un esempio concreto. Grazie a una linea del tetto elegante e ad archi posteriori fissi, unisce l’estetica coupé alla tipica forma della guida open-air, anche se con limitazione nell’apertura completa.
Anche in passato, Mazda aveva introdotto la MX-5 PRHT (Power Retractable Hard Top), dotata di un tetto elettrico rigido che si ripiegava senza occupare troppo spazio. Una soluzione che offriva il comfort di una coupé e la libertà della guida a cielo aperto.

Meno conosciuta è invece la MX-5 Roadster Coupé della seconda generazione, prodotta esclusivamente per il Giappone. Dotata di un tetto in acciaio fisso, non apribile, rappresentava una vera coupé derivata dalla (anche nota come) Miata, pur con un bagagliaio ridotto e senza portellone posteriore. Ne vennero costruite pochissime. Nemmeno una però come la “hot hatch” immaginata dal designer e che, di colpo, ci fa provare una nostalgia che non sapevamo di poter provare.