in

La Formula 1 nel 2021 correrà in Arabia Saudita: dove sono finite le campagne sociali?

La Formula 1 sembra lasciarsi alle spalle le campagne promosse in questo 2020, fissando un Gran Premio in Arabia Saudita

Arabia Saudita GP

Si può dire che molte volte, soprattutto in passato, la Formula 1 è stata contraddittoria ma bisogna ammettere adesso che con l’ufficializzazione di un Gran Premio in Arabia Saudita in programma per il 2021 c’è da rimanere a bocca aperta. La Formula 1 anno 2020 è infatti quella caratterizzata dall’iconico motto “We Race As One”, sbandierato come un mantra assoluto, seguito da elementi dei colori dell’arcobaleno, delle posizioni contro il razzismo e di chi si inginocchia all’inizio di ogni gara.

Andare in Arabia Saudita, in effetti cozza con una visione arcobaleno di una stagione di rottura in cui i chiari intendi “di inclusione e uguaglianza” paventati a inizio anno sembrano decisamente venir meno. Quando si era cominciato a parlare di Arabia Saudita subito erano cominciate ad arrivare molte critiche da più parti: l’Arabia Saudita non è stata infatti inclusa nel Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

La responsabilità della generazione del calendario risiede nelle mani di Liberty Media con la FIA che invece si trova in una posizione particolare: quando Max Mosley era presidente della Federazione aveva stipulato un contratto con Bernie Ecclestone della durata di 113 anni col quale la FIA si impegnava soltanto a far rispettare gli standard amministrativi e quelli relativi alla sicurezza senza avere parola sulla destinazione fisica del Paese in cui si correrà un determinato Gran Premio. Si può quindi ammettere che, nonostante le iniziative proposte, i soldi fanno sempre la loro parte: in quell’area c’è ancora voglia di investire nell’organizzazione di grossi eventi e Liberty Media non può fare a meno di introiti. Di colpo quindi vengono meno le iniziative, gli arcobaleni e la volontà di correre per tutti e come uno solo.

I diritti umani come un miraggio

In Arabia Saudita si pratica ancora la pena di morte per reati sdoganati quasi ovunque. La religione islamica è forte e impone una dritta retta da seguire, virando si sbaglia e si paga con la vita. Guardando con l’ingenuità di chi vuole cambiare il mondo, la situazione che porterà un Gran Premio di Formula 1 in notturna a Gedda il prossimo anno costituisce un crollo di quei valori che faticosamente in un particolarissimo 2020 la gente della Formula 1 stava provando ad imporre perché è giusto così.

Il contratto di sponsorizzazione introdotto con Aramco, ovvero di una compagnia petrolifera controllata dallo stato dell’Arabia Saudita annunciato lo scorso anno è sicuramente l’elemento chiarificatore della vicenda. Verrebbe da chiedersi se la forza di tali accordi siano capaci di giustificare la generazione di eventi in territori decisamente controversi, la risposta più corretta sarebbe un no secco. La realtà delle cose però fornisce direzioni differenti.

Sono diverse le associazioni che accusano l’Arabia Saudita di attuare un vero e proprio lavaggio sportivo utilizzando i grandi eventi per ripulire l’immagine annebbiata dalle tante problematiche sociali. Ad esempio Amnesty International ha ammesso che “in vista del nuovo Gran Premio stiamo chiedendo ai piloti e ai team di Formula 1 di informarsi sulla terribile situazione dei diritti umani nel Paese per essere in questo modo pronti a parlare”.

In ogni caso tutti i team principal già a Imola si sono detti favorevoli all’approdo del Circus in Arabia Saudita. Una giustificazione concreta, per tutto quello che si è detto, sarebbe legata al fatto di aprire un dialogo per un effettivo cambiamento in luoghi come quello citato. Altrimenti la contraddizione sarebbe ulteriormente servita su un piatto di argento e l’ipocrisia subirebbe un’impennata repentina.

Lascia un commento