Tesla, l’Autopilot è sotto accusa in un processo

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Una eventuale condanna aprirebbe la strada a risarcimenti astronomici
Autopilot Tesla

È iniziato in California, presso la corte distrettuale di Riverside, il processo contro Tesla per l’incidente mortale causato dalla sua funzione di guida automatica nel 2019. Si tratta in effetti di un procedimento estremamente importante, in quanto dal suo esito dipende il possibile delinearsi di altri casi simili lungo tutto il territorio degli Stati Uniti.

L’episodio su cui dovrà pronunciarsi un tribunale statale ha dato origine ad una causa civile e vede sul bando degli imputati il sistema Autopilot dell’azienda fondata da Elon Musk. L’incidente oggetto della controversia giudiziaria è terminato con il decesso di Micah Lee, che si trovava alla guida della sua Model 3 lungo un’autostrada ad est di Los Angeles.

L’uomo è stato in pratica ucciso dal comportamento anomalo della sua vettura, che dopo aver improvvisamente virato ha colpito una palma, per poi esplodere. Nello stesso incidente, avvenuto alla velocità di 65 miglia all’ora (105 chilometri orari) sono stati coinvolti altri due passeggeri, tra cui un bambino di 8 anni, rimasto ferito gravemente. Il tutto nel giro di pochi secondi, senza lasciare alcuna opportunità di ovviare a quanto stava accadendo al conducente.

Autopilot Tesla

I motivi del processo a Tesla

A intentare la causa contro Tesla sono stati gli eredi di Lee e i passeggeri rimasti coinvolti nell’incidente. Stando ai documenti recapitati al tribunale, alla base della vertenza c’è una precisa accusa verso la casa automobilistica californiana, ovvero il sapere benissimo che non solo il pilota automatico, ma anche gli altri sistemi di sicurezza montati all’interno della Model 3 protagonista dell’episodio erano difettosi già nel momento in cui l’auto è stata venduta. Ove ciò fosse provato, Tesla si troverebbe in guai seri.

A spiegare meglio l’intento che muove i querelanti è stato Jonathan Michaels, uno dei legali che ha deciso di rappresentarli: “Una casa automobilistica non dovrebbe mai vendere ai consumatori veicoli sperimentali”. Una affermazione suffragata del resto dai fatti. Quando Micah Lee, il quale aveva all’epoca 37 anni, ha acquistato il pacchetto completo di capacità di guida autonoma offerto da Tesla in cambio di 6mila dollari, il sistema era nella sua versione beta. In pratica, si trattava di una versione non ancora pronto per il rilascio.

Occorre sottolineare che Tesla è sotto inchiesta per aver allentato il sistema di monitoraggio del conducente dell’Autopilot. Il “Full Self-Driving Beta”, infatti, permette ad alcuni clienti selezionati di testare una versione avanzata dell’Autopilot, la quale promette di guidare l’auto in modo autonomo anche in città. Per arrivarci, ha però eliminato il requisito di tenere le mani sul volante. Inoltre ha sostituito il sensore di pressione del volante con una telecamera interna, delegata al controllo dello sguardo del conducente.

Tesla declina ogni responsabilità

Da parte sua, come era del resto prevedibile, Tesla ha declinato ogni responsabilità. Nell’adottare tale linea difensiva ha però affermato che la vittima aveva consumato alcool prima di mettersi al volante. I legali della casa automobilistica hanno poi aggiunto che ancora non è chiaro se il pilota automatico fosse inserito al momento dell’incidente.

Tesla si trova in una situazione effettivamente delicata. Ha infatti testato e implementato il suo pilota automatico e il più avanzato sistema Full Self-Driving (FSD), che l’amministratore delegato Elon Musk ha definito cruciale per il futuro della sua azienda. Operando in tal modo ha però attirato l’attenzione degli enti normativi preposti a vigilare sulla sicurezza degli utenti stradali statunitensi.

In un precedente processo tenutosi a Bellwether, a Los Angeles, ha adottato un’altra strategia, quella tesa a chiedere ai conducenti dei suoi mezzi di non affidarsi esclusivamente all’Autopilot. La tecnologia in questione, in pratica, avrebbe bisogno di un monitoraggio umano che molto spesso viene a mancare. Molti utenti, infatti, tendono a fidarsene completamente, con conseguenze devastanti.

Nel caso di Bellwether, ad esempio, una Model S ha sbandato contro un marciapiede, sempre nel 2019 rendendo possibile il ferimento del suo conducente. In quella occasione, però, i giurati hanno affermato a Reuters di aver indicato un verdetto di assoluzione nei confronti dell’azienda in quanto secondo loro Tesla aveva avvertito il conducente delle implicazioni del suo sistema di pilotaggio automatico. Di conseguenza, la colpa era da addebitare alla distrazione del conducente.

La posta in palio è molto alta

Nel processo di Riverside, però, la posta in gioco si è alzata notevolmente, come avverrà nel corso di altre cause che sono già state annunciate. Stavolta, infatti, l’incidente ha visto il decesso di una persona. Lo scontro tra gli avvocati di Tesla e dei querelanti si è subito riscaldata, come era del resto prevedibile. Motivo del contendere le prove e le argomentazioni che ognuna delle parti è chiamata a produrre.

Gli avvocati delle parti lese, infatti, avrebbero voluto portare in aula le dichiarazioni rese pubblicamente da Elon Musk in relazione all’Autopilot. Un’istanza che è però stata rigettata dalla corte, a differenza dell’affermazione che il contenuto di alcool nel sangue di Lee era inferiore al limite legale. Tagliando quindi la strada in tal senso agli avvocati della casa automobilistica.

Resta da capire se i querelanti vorranno adottare le tesi di Jennifer Homendy, capo del National Transportation Safety Board, rese pubbliche nel corso di un’intervista al Wall Street Journal che ha destato grande scalpore. Ove lo facessero, potrebbero rivelarsi un vero asso nella manica

Le tesi che potrebbero mettere nei guai l’azienda

“L’Autopilot non è guida autonoma: dirlo è irresponsabile”: queste le dichiarazioni centrali rese dalla Homendy in quell’occasione. Era il 2021 e naturalmente l’affermazione destò all’epoca molto scalpore. Secondo il numero uno di NTSB, infatti, l’azienda aveva indotto in errore molte persone facendo loro credere una cosa non rispondente alla realtà.

Persone che hanno abusato della tecnologia in questione in quanto proprio la denominazione di Autopilot sarebbe “ingannevole e irresponsabile”. Paradossalmente, nell’argomentare la sua tesi disse le stesse cose adottate poi da Tesla nel processo di Bellwether, ovvero che pur prendendo il controllo di sterzo, acceleratore e freno, il pilota automatico richiede la piena attenzione del conducente. Questi, in particolare, deve essere pronto per prendere il controllo del volante nel caso in cui il sistema dovesse incontrare una situazione che non è in grado di gestire.

Tesla, in pratica, chiamando le sue tecnologie “Full Self Driving” e “Autopilot” induce i conducenti in errore, in quanto i veicoli non sono effettivamente in grado di guidare in maniera autonoma. Secondo la Homendy, la tecnologia di guida semi automatizzata, l’unica in quel momento ad utilizzare esclusivamente le telecamere e l’AI, doveva ancora dare vita a decisi passi in avanti.

Il problema è che Tesla aveva presentato in maniera poco chiara tale tecnologia. Aveva in tal modo indotto in errore molti clienti. Tra cui, appunto, alcuni hanno poi perso la vita nel corso di incidenti provocati proprio da Autopilot. Sta ora alle corti di giustizia decidere se l’azienda abbia fatto ciò che doveva o se, al contrario, abbia abusato della fiducia dei consumatori. In questa seconda ipotesi si aprirebbe una strada estremamente pericolosa, tale da sfociare in risarcimenti astronomici.

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