Testarossa: quando pronunci questo nome, scritto unito o in due parole, come alle origini, o quando lo leggi sotto forma di acronimo, le pulsazioni cardiache si spingono in alto. Parliamo di un mito nel mito Ferrari. Tutti lo conoscono. La maggior parte delle persone lega l’appellativo alla GT degli anni 80 o alla 250 degli anni 50, ma ci sono state altre applicazioni della sigla. Anzi, la prima vettura ad utilizzarla fu una 500: non parliamo però della utilitaria Fiat. Qui passiamo in rassegna tutte le auto del “cavallino rampante” che si sono giovate di questo nome, a partire dalle più anziane. Siete pronti ad iniziare il viaggio alla loro scoperta? Bene, allacciate le cinture: si parte!
Ferrari 500 TR e TRC

Con lei la sigla protagonista di questo articolo fece il suo debutto nel lessico automobilistico. Nata rimpiazzare la 500 Mondial, la Ferrari 500 TR (Testa Rossa) ne rappresentava sostanzialmente una evoluzione, senza particolari strappi o rivoluzioni. Il pacchetto era però notevolmente affinato, per aderire meglio ai nuovi bisogni agonistici. L’esordio in società di questa bellissima barchetta avvenne nel 1956.
Gli interventi si focalizzarono principalmente sull’unità propulsiva. Per metterli in evidenza, anche sul piano visivo, i coperchi delle punterie guadagnarono quella tinta rossa che sta all’origine del nome del modello. Nacque così una sigla leggendaria, presente persino in un modello attuale del listino del “cavallino rampante”, ma in modo unitario.
Il motore da 2.0 litri della 500 TR sviluppava una potenza massima di 180 cavalli a 7.400 giri al minuto. In rapporto alla cilindrata, era un valore di grande consistenza. Ad agevolare il compito del cuore ci pensava il peso, di appena 680 chilogrammi a vuoto. Così la spinta si faceva importante, in tutte le condizioni operative, a dispetto della cubatura ridotta. I flussi energetici giungevano da una coppia di carburatori doppio corpo della Weber, che irroravano il motore di ottani.
Notevole la grinta, espressa efficacemente dall’elegante e sfuggente carrozzeria del modello, dove l’armonia trova la sua sintesi ideale. A dare supporto al raffinato abito provvedeva un telaio a traliccio di tubi d’acciaio di diverso spessore, come da consolidata tradizione della casa di Maranello. Ancora più gradevole agli sguardi risultava l’evoluzione del modello, nota con la sigla di Ferrari 500 TRC. La modifica principale era lo chassis rivisto nell’interasse, per consegnare all’auto un passo maggiore di 10 centimetri rispetto a prima. Ciò al fine di migliorare la stabilità sui curvoni veloci.
La maggiore distanza fra i mozzi delle ruote diede anche la possibilità di disporre in modo diverso il motore e le sospensioni, migliorando la collocazione del baricentro, per rendere l’auto più neutra ed efficace nelle sue dinamiche, attraverso la riduzione dei trasferimenti di carico. Pinin Farina seppe disegnare con grazia le sue linee, entrate nell’antologia del design. Come al solito, fu Scaglietti a dare forma alle lastre d’alluminio, con sapienti tocchi da maestro.
Prodotta complessivamente in 17 esemplari, 2 dei quali 500 TRC, questa vettura visse una parentesi sportiva molto vittoriosa, annunciata dal successo all’esordio, nel Gran Premio del Senegal, dove si impose nella categoria 2 litri. Al Gran Premio Supercortemaggiore di Monza del 1956, questa “rossa” si aggiudicò addirittura la vittoria assoluta, con Peter Collins e Mike Hawthorn. Molto lunga la lista dei trionfi di classe. Le Ferrari 500 TR e TRC seppero tenere alto l’onore della casa di Maranello, con una lunga scia di affermazioni. Una riprova delle loro doti. Erano indubbiamente dei modelli ben fatti.
Ferrari 250 Testa Rossa e derivate

La sola pronuncia del suo nome scatena vibranti emozioni e proietta nel cuore del mito del “cavallino rampante”. La Ferrari 250 Testa Rossa è un’icona della casa di Maranello, una delle espressioni più alte della sua storia. Il debutto del modello avvenne nel 1957. Ottime le sue credenziali, ma forse neppure lo stesso Enzo Ferrari avrebbe immaginato una scia così luminosa di successi, perché questa barchetta, nelle varie declinazioni, fu davvero un rullo compressore, che non lasciò nemmeno le briciole alla concorrenza.
Nata per soddisfare il limite dei 3 litri di cilindrata posto ai prototipi dalla Commissione Sportiva Internazionale, la Ferrari 250 Testa Rossa sfiorava questo tetto. Il suo motore V12 era un capolavoro. Nella sigla sono riportate alcune caratteristiche distintive: il codice numerico si riferisce alla cubatura unitaria; il suffisso finale evidenzia il colore dei coperchi delle punterie. Nella configurazione iniziale erogava 300 cavalli di potenza massima ed esprimeva il suo vigore sotto una sensuale carrozzeria in alluminio, divinamente plasmata da Sergio Scaglietti.
Pur se focalizzata sugli aspetti funzionali, questa vettura si concede agli sguardi con note scultoree che ne fanno un capolavoro di stile, degno di primeggiare nei più importanti concorsi d’eleganza del pianeta. A supportare l’elegante abito ci pensa un telaio tubolare in acciaio, che coniuga efficacemente i temi della leggerezza e della robustezza. Nessun dubbio sulla sua efficacia in gara, testimoniata dalla carriera agonistica.
I diversi step evolutivi della Ferrari 250 Testa Rossa regalarono alla casa di Maranello ben tre titoli mondiali marche, nel 1958, 1960 e 1961. Un ruolino di marcia fenomenale, che ha consegnato l’auto alla leggenda. Già al debutto in gara mise in chiaro le sue ambizioni, vincendo la 1000 km di Buenos Aires, nel mese di gennaio del 1958. In quella sfida, due esemplari della specie finirono sui gradini più alti del podio. Uno sfizioso antipasto di ciò che la barchetta emiliana seppe fare nel corso della sua avventura sportiva.
Purtroppo nel 1959 la carrozzeria iniziale fu rivista, nel segno dell’efficienza aerodinamica, da Pininfarina, che fece un eccellente lavoro estetico, ma il carisma si fece inferiore rispetto all’interpretazione iniziale, per la perdita delle vistose scalfitture di raffreddamento dei tamburi. Qui, del resto, non ce n’era più bisogno, per l’arrivo dei freni a disco.
Nel 1960 i tecnici della casa di Maranello dotarono il motore V12 di un sistema di iniezione, messo in evidenza nella sigla, che divenne Ferrari 250 TRI. Il pacchetto degli aggiornamenti era completato dall’arrivo della lubrificazione a carter secco e delle sospensioni posteriori a ruote indipendenti. L’anno dopo giunse la Tipo 61 della Ferrari 250 Testa Rossa, molto più orientata delle progenitrici verso gli aspetti funzionali della carrozzeria, che perse molti punti in termini di eleganza ed armonia visiva, rimanendo comunque gradevole, in rapporto alla destinazione d’uso. Con lei si chiuse il ciclo vincente del modello, sigillato da un altro successo alla 24 Ore di Le Mans.
Poi fu il turno della 330 TR del 1962, che prese forma in un solo esemplare. Alcuni la chiamano 330 TRI/LM o 330 TRI. Base di lavoro fu la vettura precedente, da cui prese a prestito il telaio, modificato e irrobustito per assecondare meglio la superiore verve prestazionale del nuovo cuore da 4.0 litri di cilindrata, in grado di sviluppare una potenza massima di ben 390 cavalli. La vittoria più importante raccolta dal modello fu quella alla 24 Ore di Le Mans, con Phil Hill e Olivier Gendebien.
Ferrari Testarossa e derivate

Questa granturismo è stata in cima ai sogni degli appassionati nei frizzanti anni ’80. Tutti la volevano. I ricchi facevano a gara per assicurarsene una. Chi non poteva permettersela si accontentava di un poster o di un modello in scala, da tenere in casa o in ufficio, con la speranza che potesse ingrandirsi. La Ferrari Testarossa è un’auto di eterna giovinezza. Il suo mito non tramonterà mai. Questa creatura fu una regina dei sogni. Ancora oggi continua ad esserlo. Incarna l’essenza stessa dell’esclusività, del lusso e dell’arte meccanica del “cavallino rampante”.
Le sue danze prendono forma col rombo profondo del suo motore a 12 cilindri. Una sinfonia di note e di potenza, generosamente elargita a chi sta a bordo. Con lei ogni corda sensoriale vibra, stimolando al meglio l’apparato emotivo. Nei suoi tratti espressivi, ciascuna linea è una pennellata di passione e ingegno. Il merito di questo straordinario progetto stilistico è di Pininfarina, che ha saputo disegnare una scultura a quattro ruote, dall’esuberante personalità. Qui la funzionalità è scolpita in forma pura.
Sublimi lo specchio di coda e la vista di 3/4 posteriore, dove la sua opulenta grazia tocca il diapason dello splendore. Impossibile trovare di meglio, in queste prospettive di osservazione. Anche il resto della tela grafica compiace gli occhi al massimo livello. Pure il frontale, apparentemente semplice rispetto al resto, si incastona bene nella montatura visiva, aprendo con le sue eleganti note all’ardimento di tutti il resto.
Guardando la Ferrari Testarossa si riceve in cambio un bombardamento adrenalinico. Impossibile resistere al fascino delle sue seduzione. Questa supercar ha un carisma unico, incredibile. Parlare di un capolavoro estetico è riduttivo. Potrebbe tranquillamente essere la regina del Louvre. Il vigore dinamico, come anticipato, giunge da un motore V12 con angolo di 180° fra le bancate, da 4942 centimetri cubi di cilindrata. La potenza massima si spinge a 390 cavalli, per una velocità di punta nell’ordine dei 290 km/h. Per percorrere il chilometro con partenza da fermo bastano 24.1 secondi. Ai suoi tempi non era un crono per tutti.
A dispetto del look da prototipo di Le Mans, la Testarossa non era una belva da pista, ma una signora granturismo, che assicurava trasferte veloci ed emozionanti, in un quadro di comfort sorprendente. In città, però, il volante pesante e i comandi faticosi, oltre alla bassa visibilità, la rendevano come un pesce fuor d’acqua. Non era quello il suo mondo, anche se ad ogni ingresso nei centri abitati diventava subito la regina della piazza, con le note del suo splendore, anche sonoro.
Più leggera da guidare e molto più incisiva sul piano prestazionale fu la successiva 512 TR, sua evoluzione firmata da Pietro Camardella per Pininfarina. Il designer salernitano seppe aggiornare con grazia il disegno iniziale, modernizzandolo. Eccellente il suo lavoro, che aggiunse vigore sportivo alla vista. Il cuore, ora dotato di iniezione elettronica Bosch Motronic M2.7, si giovava di diversi gli interventi su pistoni, albero motore, condotti di aspirazione e di scarico. La potenza divenne più alta, fissandosi a quota 428 cavalli. Degno del suo splendore il quadro prestazionale, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 4.8 secondi, da 0 a 1000 metri in 22.9 secondi e una velocità massima di 314 km/h.
Poco migliori le prestazioni messe a segno dalla successiva F512M, coi suoi 440 cavalli, uniti ad alcuni altri affinamenti, che la resero ancora più compiuta, ma lo stile perse coerenza, pur se molto aggressivo. Fu lei la meno bella della serie Testarossa, ma anche la più rara. Oggi quest’ultimo elemento si riflette positivamente sulle quotazioni.
Ferrari 849 Testarossa

Stilisticamente è meno riuscita delle sue antesignane. In più manca il 12 cilindri. La tecnologia e le performance, però, sono di un livello mai visto su una GT stradale di “serie”, ossia non limited edition. Nata per prendere il posto della SF90 Stradale e proposta come l’altra anche in versione Spider, la Ferrari 849 Testarossa ha volumi ben calibrati, ma con elementi estetici discutibili.
Nella sigla sono riportate alcune sue caratteristiche. La prima cifra si riferisce al numero di cilindri, le altre due alla cilindrata unitaria divisa per dieci. Il codice numerico, anche qui, mette in risalto il colore dei coperchi delle punterie. Lo stile si proietta al futuro. Nasce da una base sana, in termini di proporzioni, ma gli elementi non sono così ben integrati fra loro. Il frontale ha poco carisma e sembra orientaleggiante. Nello specchio di coda si coglie un certo senso di squilibrio visivo, nonostante gli apprezzabili richiami alle 512 S ed M, affascinanti Sport degli anni romantici.
Ciò che stona maggiormente è però l’elemento verticale nero dietro la portiera, che spezza la liquidità dei flussi, interrompendo la felice interpretazione della fiancata che si avrebbe in sua assenza. A mio avviso sovraccarica inutilmente la scena. Si tratta di un’opinione personale, ma sembra ampiamente condivisa, leggendo i commenti sui social. Preciso che il mio giudizio si basa sulle foto e sui video, non avendo ancora visto l’auto dal vivo. A quel punto (e solo a quel punto) potrò esprimere un giudizio più fondato. Per ora continuo a preferire, esteticamente, la SF90 Stradale.
Se il look non mette tutti d’accordo, le qualità ingegneristiche e prestazionali della Ferrari 849 Testarossa trovano l’unanimità dei consensi, al netto dell’assenza di un motore a 12 cilindri. Qui si è cercata la massima efficienza, su tutti i fronti, con risultati sorprendenti. I tecnici del “cavallino rampante” hanno fatto un lavoro pazzesco, traghettando le performance da corsa su una vettura del “normale” listino. Sulla pista di Fiorano, rispetto alla ben più specialistica SF90 XX Stradale, il ritardo sul giro è di soli 2 decimi. Credo non occorra aggiunge altro per mettere la corona agli autori di questo capolavoro ingegneristico, che fissa i nuovi riferimenti della specie. La concorrenza è distante anni luce.
La Ferrari 859 Testarossa è una ibrida plug-in da 1050 cavalli di potenza massima: 830 di questi giungono dall’unità endotermica V8 biturbo da 4.0 litri di cilindrata, disposta in posizione centrale-posteriore. Al top le metriche, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in meno di 2.3 secondi, da 0 a 200 km/h in 6.35 secondi, e una velocità massima di oltre 330 km/h. Sono performance stratosferiche, ma l’handling è di un livello ancora maggiore.
I maghi di Maranello sono riusciti a creare una macchina meravigliosa sul piano dinamico ed emotivo. Pare che alla guida sappia coinvolgere molto più della SF90 Stradale. Immediata la sua reattività al comando del gas, in virtù delle 3 unità elettriche, 2 delle quali installate sull’asse anteriore, per avere la trazione integrale. Notevole lo studio dei flussi, che ha portato a livelli impressionanti di downforce: il carico deportante tocca quota 415 kg a 250 km/h: 25 kg in più della SF90.
