BYD, la prima produttrice mondiale di veicoli elettrici, punta sull’Italia – e in particolare su Torino – per costruire la propria filiera europea. Dopo mesi di analisi e incontri, il colosso cinese ha individuato 85 aziende italiane, quasi tutte torinesi, pronte a fornire componenti fondamentali per le sue auto: cambi, filtri, sistemi frenanti e altri dispositivi chiave.
BYD punta su Torino duramente colpita dalla crisi di Stellantis
La scelta non è casuale. Torino, culla storica dell’automotive italiano, è stata duramente colpita dalla crisi produttiva di Stellantis, lasciando decine di imprese senza prospettive. Proprio questa eccellenza industriale in cerca di nuovi sbocchi ha attirato BYD, guidata nel percorso europeo da due figure italiane di grande esperienza: Alfredo Altavilla, ex dirigente Fiat e FCA oggi advisor per BYD in Europa, e Alessandro Grosso, già in Stellantis e oggi responsabile di BYD Italia.
Tra febbraio e oggi, i manager della casa cinese hanno incontrato quasi 200 fornitori piemontesi, rimanendo colpiti dalla loro competenza, frenata però da costi energetici elevati. Nonostante i contatti continui, non ci sono ancora contratti ufficiali, ma l’interesse è forte e strutturato. L’espansione di BYD in Europa procede a ritmo veloce: vendite in forte crescita in Italia e Germania, un grande stabilimento in costruzione in Ungheria da 250 mila auto l’anno, un secondo confermato in Turchia e un possibile terzo in Spagna per le batterie. A Milano, invece, è stato inaugurato il nuovo centro europeo di design.
Per la filiera torinese, l’opportunità è enorme: le aziende selezionate potrebbero fornire componenti per fino a 500 mila veicoli l’anno, numeri che superano di gran lunga l’attuale produzione di Stellantis, crollata del 30% nel 2025. Tra le realtà coinvolte spicca Sila Group, storico produttore di cambi per Stellantis, che vede nell’arrivo di BYD una chance per diversificare e tornare a crescere. I sindacati accolgono positivamente l’interesse cinese, pur chiedendo garanzie: «Bene i nuovi investimenti – avverte la FIOM – ma il lavoro deve rimanere in Italia. Basta delocalizzazioni».

