Il settore automobilistico francese, uno di quelli più importanti per brand tricolori e per Stellantis, è in forte sofferenza. Nei primi cinque mesi del 2025, sono stati immatricolati appena 820.764 veicoli leggeri, segnando un crollo del 28,12% rispetto allo stesso periodo del 2019, quindi della fase pre-pandemia. Una crisi strutturale che riflette un profondo cambiamento economico e normativo, con effetti evidenti sulla domanda e sull’accessibilità delle auto nuove. John Elkann e Luca De Meo, rispettivamente due figure di riferimento in Stellantis e Renault, non le mandano a dire sull’Unione europea.
Oggi, acquistare un’auto fresca di concessionario è diventato un lusso per molti cittadini: il 57% delle vendite si concentra su modelli economici come Renault Clio, Peugeot 208 e Dacia Sandero, mentre il segmento delle compatte urbane è praticamente scomparso, fatta eccezione per qualche variante elettrica. Ma di chi è la colpa? Delle politiche europee? Dei produttori? O dei consumatori?
Secondo De Meo ed Elkann, come affermato recentemente, le principali responsabilità ricadono sulle normative ambientali e di sicurezza sempre più stringenti. Renault, ad esempio, prevede che i costi di produzione della Clio sono già saliti del 40% nel raffronto tra il 2015 e il 2030, ma per il 92,5% a causa di regolamenti come Euro 6/7, standard CAFE, nuove imposte sul carbonio e il possibile divieto delle sostanze PFAS. La dinamica del brand francese può essere affiancata a quella di altri brand interni a Stellantis, specie quelli incentrati sul mercato europeo, da Citroen e Peugeot, da Opel a Fiat.
Uno studio dell’Institut Mobilités en Transition attribuisce solo un quarto dell’incremento medio del 24% dei prezzi a fattori esterni, indicando come elemento determinante la strategia industriale orientata verso modelli premium e margini più elevati.
Questo spostamento verso la fascia alta del mercato rende i modelli popolari sempre meno sostenibili per le aziende, ma rischia di escludere fasce sempre più ampie di consumatori, riducendo drasticamente l’accessibilità alla mobilità privata. Una deriva che non solo minaccia la coesione sociale, ma mina anche la stabilità dell’intero ecosistema automotive europeo. Hanno quindi ragione Elkann e De Meo? Nì. Cambiare strategia industriale è (soprattutto) una scelta di vertice aziendale e meno istituzionale.