Produrre batterie dal riciclaggio delle celle fotovoltaiche, ci sono riusciti

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Le ultime scoperte del gigante orientale sembrano destinate a favorire l’industria locale
Batteria auto elettriche

Quello del riciclaggio rappresenta ormai un imperativo vero e proprio, per chiunque sia intenzionato a cercare di ridurre in maniera significativa il cosiddetto carbon footprint, indicato nella nostra lingua come impronta di carbonio. Stiamo parlando della misura della quantità di emissioni di gas serra rilasciate nell’atmosfera dalle attività di una persona, un’azienda, una città, uno Stato.

In pratica è la misura del nostro contributo al riscaldamento globale di origine antropica. O, messa sotto un altro punto di vista, di quanto contribuiamo a rallentarlo, nel caso in cui la nostra impronta di carbonio è di scarsa rilevanza. 

L’impronta va in pratica a comprendere le emissioni dirette causate bruciando combustibili fossili, come avviene nella combustione del motore dell’automobile, per esempio, e quelle indirette, a partire da quelle legate all’elettricità consumata, ove anch’essa provenga da combustibili fossili. Se per convenzione viene misurata in tonnellate di anidride carbonica (CO2) per anno, in realtà comprende le emissioni rilasciate da tutti i gas che contribuiscono al riscaldamento globale, come il metano l’ossido di azoto e i clorofluorocarburi (CFC). 

Se va misurata in ogni settore, proprio quello delle automobili rappresenta una sorta di vigilato speciale da parte dell’opinione pubblica. Spingendo tale industria a impegnarsi sempre di più per migliorare la propria immagine presso di essa.

Batteria auto elettrica

La ricerca dell’università di Nanyang

Proprio per questo motivo sta destando molta attenzione la notizia che arriva dalla Cina, precisamente dall’Università di Nanyang. Un gruppo di ricercatori dell’ateneo posizionato nella parte centro-orientale del gigante asiatico, infatti, sarebbe riuscita a individuare una procedura estremamente efficiente al fine di recuperare silicio ad alta purezza da pannelli fotovoltaici giunti a fine vita.

Occorre sottolineare al proposito che proprio il silicio recuperato è in grado di essere utilizzato per la produzione di batterie agli ioni di litio, la cui crescente domanda crescente sta spingendo sempre più in alto i prezzi. Tanto da spingere le aziende intenzionate a partecipare alla competizione sempre più serrata che caratterizza il segmento delle auto elettriche a reperire un numero sempre maggiore di canali di approvvigionamento di materie prime e semilavorati.

Come è ormai noto da chiunque si sia informato sulle celle fotovoltaiche, il silicio rappresenta il materiale al momento più impiegato per la produzione delle celle fotovoltaiche. Se gli esperimenti per reperire alternative vanno avanti da tempo, lo stato delle cose lo vede prevalere largamente sulle alternative.

Le celle fotovoltaiche, però, hanno una durata media che va ad attestarsi tra i 25 e i 30 anni. Una volta superata questa soglia vanno a finire tra i rifiuti, previa separazione del silicio dagli altri componenti, tra cui il rame, l’alluminio, il piombo o la plastica. Una separazione tale però da comportare notevoli difficoltà.

Produrre batterie con i materiali provenienti dal riciclaggio delle celle fotovoltaiche: la scoperta cinese

In particolare, il recupero del silicio è al momento possibile, ma avviene garantendo un grado di purezza molto limitato. Per cercare di aumentarne la qualità si rendono di conseguenza necessari processi industriali accessori ad alta intensità energetica, tali da richiedere l’utilizzo di sostanze chimiche estremamente tossiche.

Ad ovviare a questa problematica realtà sono stati, appunto, i ricercatori dell’università di Nanyang, i quali sono riusciti finalmente a reperire un metodo che bypassa le difficoltà. A rendere possibile tutto ciò è in pratica l’acido fosforico, una sostanza che viene usata anche nell’industria alimentare, soprattutto nelle bevande, il quale è in grado di separare il silicio senza ridurne la purezza. Il tutto tramite procedure che hanno un impatto ambientale estremamente contenuto.

Il nuovo metodo prevede che le celle solari siano immerse nell’acido fosforico diluito e caldo per una trentina di minuti circa. Un periodo che permette la prima separazione dei metalli dalla superficie e da ripetere a temperatura più bassa, in modo da togliere le scorie di metallo rimaste e impurità varie. Al termine di questo secondo ciclo, anch’esso di 30 minuti circa, i wafer che ne deriveranno saranno di silicio puro. Una sorta di quadratura del cerchio che va a beneficio dell’industria automobilistica. Vediamo perché.

Le implicazioni della scoperta cinese

Il procedimento è stato divulgato sulla rivista scientifica Solar Energy Materials and Solar Cells, catturando immediatamente grande attenzione. Il motivo di tale attenzione è da individuare nelle sue implicazioni, che sono effettivamente di grande rilievo. Soprattutto alla luce di un dato, in base al quale considerata la durata media di una cella solare, entro il 2050 andranno a scadenza del loro ciclo di vita ben 78 milioni di pannelli fotovoltaici.

Batterie per auto elettrica

Un numero enorme, tale da poter creare problemi in sede di riciclo. Problemi i quali potrebbero essere facilmente bypassati con l’utilizzo dell’acido fosforico. A sottolineare tale aspetto è stato il professore Nripan Mathews, titolare della cattedra di scienza e ingegneria dei materiali e direttore dell’Energy Research Institute dell’Università di Nanyang, il quale ha affermato: “Il nostro approccio al recupero del silicio è efficiente ed efficace. Non dobbiamo utilizzare più sostanze chimiche, riducendo il tempo dedicato al post-trattamento dei rifiuti chimici. Allo stesso tempo, abbiamo raggiunto un elevato tasso di recupero del silicio, il cui grado di purezza è paragonabile a quello prodotto con tecniche di estrazione ad alta intensità energetica”.

Cina all’avanguardia nella ricerca sulle batterie per le auto elettriche

La Cina continua a mostrare grande attivismo nella ricerca collegata alle batterie per le auto elettriche. Al lavoro che abbiamo ricordato, infatti, occorre aggiungere quello portato avanti dall’Istituto di Ricerca Cinese, che promette di essere una vera e propria rivoluzione nel campo,

Se sino a questo momento i metodi di riciclaggio della batteria al litio, principale composto usato in questi accessori, prevedono il recupero della sostanza dal catodo, ora sembra arrivato il momento di cambiare. Facendolo dal catodo, infatti, si presenterebbero notevoli vantaggi. In particolare, oltre ad essere più efficiente, il nuovo procedimento sarebbe molto più sicuro dal punto di vista chimico.

A renderlo tale il fatto che eviterebbe il rischio di formazione di idrogeno gassoso, il quale tende a incendiarsi molto facilmente. Proprio l’idrogeno gassoso sarebbe una delle cause più frequenti dell’intensità con cui bruciano le automobili elettriche bruciano in caso di incendio.

Gli scienziati coinvolti nella ricerca sono peraltro riusciti a sviluppare una soluzione, indicata come IPA, la quale sarebbe in grado di assorbire gli ioni caricati positivamente dall’anodo in maniera sicura ed estremamente efficace.

La capacità di fare sistema delle aziende cinesi

Le scoperte in questione confermano la preminenza della Cina in un settore estremamente importante come quello rappresentato dalle batterie per le auto elettriche. E, soprattutto, danno una ulteriore conferma di quanto sostenuto dagli analisti di UBS, secondo i quali il mercato dell’automotive sarà dominato dai produttori del Dragone entro il 2030.

Tra i fattori che concorrono a formare questa realtà, sempre secondo gli analisti della banca svizzera, proprio la capacità di fare sistema delle aziende cinesi. Tali scoperte, infatti, vengono inesorabilmente adottate e sfruttate dai marchi di Pechino che, in tal modo, sono in grado di assicurarsi una vera e propria rendita di posizione. Una rendita di posizione che rischia di buttare fuori dal mercato le aziende europee. A ricordarlo è stato di recente Luca De Meo, il CEO di Renault, il quale ha anche affermato che se è ancora possibile recuperare il gap, occorre comunque fare presto.

Pensare che le inchieste come quella promossa dall’Unione Europea verso i prezzi considerati troppo bassi delle auto elettriche cinesi possano fare da scudo alle imprese continentali potrebbe in effetti rivelarsi un errore esiziale.

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