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Stellantis, è polemica: gli utili su, ma anche la cassa integrazione

I dati dei mercati mettono in risalto ottimi risultati per il colosso Stellantis, ma dal punto di vista dell’azienda, perché nelle fabbriche italiane l’unica cosa che sale è la cassa integrazione.

Stellantis

Le stranezze del mercato, delle attività di impresa e del lavoro in Italia. Sono queste le cose che emergono copiose e con assoluta evidenza se si guarda a Stellantis, il colosso dell’Automotive nato a gennaio dopo la fusione di FCA con PSA. Utili e cassa integrazione, questi i due aspetti controversi del momento per quanto riguarda Stellantis.

Ne parla con un articolo piuttosto critico anche il “Fatto Quotidiano”. Un articolo che approfondisce i dati attuali sia del mercato, che riguardano strettamente i vertici aziendali, che quelli dei lavoratori delle fabbriche italiane.

Dati in contrasto tra loro, anzi in netta contrapposizione. Infatti agli altisonanti numeri di mercato, che portano Stellantis al top del settore, vicino al risultato prefissato dai vertici dell’azienda in quanto ad utile, si contrappongono le problematiche degli operai, o meglio quelle degli stabilimenti del gruppo.

Attività nelle fabbriche a basso regime, cassa integrazione largamente diffusa e ipotesi di tagli di occupazione, anche se mascherati da esodi volontari ma incentivati, sono i nodi al pettine di Stellantis in Italia.

Il mercato e l’utile, i vertici aziendali sanno fare il loro lavoro

Un qualsiasi imprenditore deve curare i suoi interessi e quindi deve propendere verso l’utile. Più utile si fa più l’imprenditore ha successo nella sua attività. Questo vale per la piccolissima impresa ma anche per quelle di grandi dimensioni e quindi, pure per il colosso Stellantis.

Che il CEO Tavares e tutti quelli che gli ruotano intorno, sappiano fare il loro lavoro è evidente. Peccato che ad oggi sembra che gli interessi di questi vertici di Stellantis, non coincidano con quelli dei lavoratori. Infatti della situazione negli stabilimenti italiani tutto si può dire tranne che sia tranquilla e indirizzata verso la stabilità.

Evidentemente le cose per Tavares e soci vanno bene così, perché gli utili sono altisonanti. E se i risultati ci sono perché cambiare strada andando verso le esigenze dei lavoratori. Questo il dubbio che adesso molti addetti ai lavori hanno. Il fatto che Tavares alla prima visita a Torino abbia ribadito che in Italia vanno tagliati i costi degli stabilimenti, non lasciava presagire nulla di buono.

E solo in minima parte la preoccupazione immediata è stata sedata dalla promessa di preservare l’occupazione o dalle lodi a grandi marchi italiani quali Alfa Romeo e Lancia, anche queste, parole dette da Tavares a gennaio.

I risultati del mercato sono eccezionali

“Stellantis vola verso l’obiettivo di almeno 15 miliardi di euro di utile operativo, stimato dalla società e dagli analisti, per l’intero 2021. Se così fosse, si tratterebbe un anno da incorniciare per l’amministratore delegato Carlos Tavares e gli azionisti, primo fra tutti l’Exor della famiglia Agnelli con il 14,4% del capitale”, sono questi i numeri di cui parla il Fatto Quotidiano.

Numeri che sono un autentico boom solo nel primo semestre dell’anno. E sono dati ufficiali perché comunicati dall’azienda qualche giorno fa. Infatti si parla di 8,6 miliardi di euro di utile operativo, per ricavi prossimi ai 75 miliardi.

Se anche il secondo semestre sarà dello stesso livello, l’obbiettivo di Stellantis sarà raggiunto e forse superato. In barba alla crisi del mercato, all’emergenza economica Covid e alla carenza di componenti, che sono le giustificazioni addotte dall’azienda alla pericolante situazione negli stabilimenti nostrani.

Il colosso Stellantis va a gonfie vele, collocandosi in termini di utili di mercato, a livello di colossi quali Toyota e Volkswagen. Evidentemente l’operato dell’azienda è eccezionale, soprattutto se i numeri snocciolati fin qui vengono paragonati a quelli del passato, anche recente di FCA.

L’ex Fiat Chrysler Automobiles nel solo 2020 aveva perduto il 20% di ricavi passando da 108 miliardi a 86. Ben 22 miliardi in meno per l’ex FCA, così come erano stati 14 miliardi in meno per i colleghi di PSA in Francia.

Anche se va detto che il 2020 è stato l’anno dell’ingresso della pandemia e quindi fa poco testo un paragone con un anno talmente drammatico. Nel calcolo del trend di mercato, a vantaggio di FCA rispetto a PSA c’è il mercato nordamericano, dove l’ex Fiat Chrysler Automobiles ha parecchio appeal.

L’Italia resta nei discorsi di Carlos Tavares

“In Italia abbiamo avviato un dialogo costruttivo con i sindacati e quasi tutti hanno capito la portata della transizione energetica che Stellantis attraversa. Abbiamo spiegato che se manteniamo lo status quo ci mettiamo nei guai. Dobbiamo raggiungere gli obiettivi sulle emissioni di Co2, è un must. Accelerare sull’elettrificazione aumenta i costi del 40% che vanno ammortizzati. Siamo nella giusta direzione” così ha parlato Tavares.

Status quo e ammortizzare i costi non sono certo termini che faranno piacere ai lavoratori o a chi deve avere a che fare con la vita negli stabilimenti italiani. La questione dei costi torna ad essere centrale, a maggior ragione se si pensa che Tavares ha di fatto detto che costruire auto elettriche significa aumentare del 40% i costi.

La cassa integrazione negli stabilimenti italiani resterà un must?

Se nemmeno gli elevati utili hanno sedato la sete di tagli di Tavares il futuro sembra buio per gli stabilimenti italiani. Tagliare i costi era già un obbiettivo di Tavares e soci, ma adesso, con l’aumento delle spese dell’azienda per le auto elettriche, e dopo l’imponente investimento sulla fabbrica di batterie elettriche di Termoli, la situazione rischia di degenerare.

Da Cassino a Melfi, da Termoli a Pomigliano, ma anche a Mirafiori,  sono molti gli impianti in cui anche nel 2021 si stanno utilizzando a macchia d’olio gli ammortizzatori sociali. La cassa integrazione resta l’arma utilizzata per stoppare la produzione senza licenziare i lavoratori.

Un po’ lo stop ai licenziamenti imposto dal governo per il Covid ed un po’ per tenere buoni principi di mobilitazione nelle fabbriche, la cassa integrazione è lo strumento usato. Ma adesso con gli accordi sugli incentivi all’esodo. Ci sono i prepensionamenti e con le offerte di soldi in cambio delle dimissioni di chi vuole o quasi, il taglio occupazionale non sembra essere così distante dalla realtà.

E gli esempi da questo punto di vista non sono pochi. Per esempio i metalmeccanici della Fim Cisl hanno sottolineato come a Cassino ogni giorno 500 operai sono in cassa integrazione a rotazione. Sempre a Cassino, in 18 mesi l’occupazione nello stabilimento laziale sia calata di 1.000 unità. A Mirafiori da pochi giorni si è conclusa una lunga fase di cassa integrazione ed a Pomigliano il 35% della forza lavoro fa turni di Cig ad oltranza ormai da settimane.

I numeri della Cisl sulla produzione richiamano al 2019 e la cassa integrazione prosegue                              

Se i dati del mercato sono ottimi se paragonati al 2020, quelli che la Cisl snocciola sulla produzione italiana sono commisurati sul 2019, ultimo anno pre Covid. Ed effettivamente anche sul mercato i conti andrebbero fatti prima dell’avvento della fase pandemica.

Sempre sul Fatto Quotidiano si legge che “nel primo semestre del 2021 le produzioni in Italia sono cresciute in media del 64% rispetto al primo semestre del 2020, ma sono in calo del 20% rispetto al primo semestre del 2019”. Come dire, in Italia la produzione va piano e gli stabilimenti sono utilizzati a basso regime.

Ed è il ricorso agli ammortizzatori sociali con tanto di soldi statali in aiuto che da un lato abbatte la produttività degli stabilimenti, e dall’altro aumenta gli utili dell’azienda.

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