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Stellantis, differenze Francia-Italia, tra Cig e nuovi modelli

In Francia nuovi veicoli già in produzione, in Italia invece Cassa integrazione da Melfi a Pomigliano.

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I problemi di Stellantis e dello stabilimento di Melfi, la cui produzione è stata chiusa dal 3 maggio e fino al prossimo 10 maggio, ieri sono finiti sui banchi del Parlamento. Una interrogazione della rappresentante di Italia Viva, la renziana, Sara Moretto ha ricevuto la risposta da parte del Ministro interrogato, cioè quello dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, rappresentante della Lega dell’altro Matteo della politica italiana, Salvini.

Ma circoscrivere i problemi di Stellantis solo al polo produttivo situato in Basilicata non è rispondente alla realtà. Perché le problematiche del gruppo nato dalla fusione dei francesi di Peugeot PSA con gli italiani di Fiat e Fiat Chrysler Automobiles, specie sul territorio nostrano sono diffuse in tutti gli stabilimenti.

Lo dimostra il fatto che oltre a Melfi si segnala lo stop alla produzione anche a Pomigliano, altro polo produttivo del gruppo.

Uno stop dietro l’altro che non fa stare tranquilli

La carenza di componentistica, nello specifico la mancanza di chip per le centraline è alla base di questo stop alla produzione che dopo Melfi, dove la FCA produce la metà dei veicoli complessivi prodotti in Italia, ha riguardato anche Pomigliano, in Campania. Il ricorso alla cassa integrazione per tutti gli operai è come sempre la soluzione tampone di questi stop.

Ma in base a quanto si è appreso ieri alla Camera, dopo le parole del Ministro Giorgetti, c’era un patto tra governo ed Fca affinché si tutelassero gli operai, i livelli occupazionali e si riducessero i ricorsi alla cassa integrazione.

Un patto che il governo ha spuntato a seguito della concessione di una garanzia su un prestito ottenuto da Fca prima di dare vita al colosso Stellantis. Nonostante i buoni auspici dati dal fatto che la creazione di Stellantis ha prodotto la nascita del quarto polo produttivo di automobili al Mondo, il ricorso alla cassa integrazione e agli ammortizzatori sociali è ormai diventato prassi, come prima e forse addirittura in misura maggiore.

La carenza di microchip che è alla base di questo stop alla produzione in diversi siti produttivi di Stellantis in Italia, dipende dal Covid e dall’emergenza sanitaria ed economica di questa pandemia, la stessa emergenza che ha ingessato il mercato della auto. Un insieme di fattori che uniti al fatto che non sono pochi gli appunti mossi dai vertici di Stellantis alle modalità produttive e lavorative italiane, aprono a scenari allarmanti.

Tra l’altro ogni giorno c’è una notizia che mette ansia soprattutto agli operai italiani. Prima il governo francese diventa azionista di Stellantis come lo era di PSA, mentre il nostro governo è fuori da tutto.

Poi si chiede a operai italiani di andare a studiare in Francia, a prendere esempio da come si lavora in territorio transalpino e adesso anche alcune nomine di nuovi manager  presi quasi tutti all’estero e non italiani (su 120 sembra che solo 12 siano italiani). In altri termini, all’interno di Stellantis sembra che l’Italia sia minoranza.

La situazione a Pomigliano somiglia tanto a Melfi e ad altri siti italiani

Anche in Campania e a Pomigliano Stellantis si ferma ed anche in questo polo produttivo la scusa è la carenza di componentistica. Una settimana di stop alla produzione che in altri termini significa cassa integrazione. Ma questa presunta crisi si scontra con i numeri del mercato e con i risultati di Stellantis messi in luce dai vertici durante il consueto rapporto trimestrale.

Per carità, il fatto che siano carenti i chip ha causato la perdita dell’11% di produzione, che in termini pratici significa 190.000 veicoli in meno. Ma si registra pure la crescita dei prezzi sul mercato statunitense che è in grande ripresa grazie alle vaccinazioni, è che ha fatto registrare un miliardo e mezzo di dollari di ricavi.

Il fatturato complessivo del gruppo è salito di un buon 14% assestandosi sui 37 miliardi di euro. Numeri che inducono alla fiducia, anche se si pensa che il calo di produzione dei veicoli avrà impatto soprattutto nel secondo trimestre dell’anno, anche se dovrebbe terminare la carenza di microchip.

Ed anche la borsa va esattamente in direzione opposta rispetto alle problematiche degli stabilimenti, poiché il titolo Stellantis ha fatto registrare un balzo del 7%.

Due velocità quindi, perché la crisi di componentistica ha provocato uno stallo in 8 stabilimenti su 44. E di questi italiani sono Melfi e Pomigliano per adesso. A Melfi si producono le Jeep Renegade, le Jeep Compass e le Fiat 500 X, e dal 3 maggio sono 7.201 i lavoratori in cassa integrazione.

E adesso pure a Pomigliano in cassa integrazione sono finiti 4.486 lavoratori. Adesso occorrerà verificare lo scenario di maggio, perché la cassa integrazione, anche se non necessariamente accompagnata da un blocco della produzione totale come a Melfi e Pomigliano, da tempo interessa tutti i siti italiani di Stellantis.

Solo la Sevel di Atessa e la Maserati a Modena non sono stati ancora intaccati da questo ricorso massivo agli ammortizzatori sociali. Ma si tratta di stabilimenti di nicchia, perché ad Atessa si producono i veicoli commerciali Fiat come il Ducato e a Modena le supercar Maserati. Per volume di affari e produzione, nulla a che vedere con Melfi e nemmeno con Pomigliano per esempio.

In Francia e in altra fabbriche di Stellantis all’estero non si vive la stessa situazione. Questione di programmazione aziendale, come i sindacati accusano. Il ritardo nel varo dei nuovi modelli, o nell’uscita di quelli già preventivati come il Tonale o il Grecale sortiscono un effetto di insicurezza. Esattamente l’opposto di ciò che accade all’estero, dove i nuovi modelli Peugeot 208 e 2008, oltre alla nuova Citroen C4 e al nuovo Opel Mokka hanno spinto la produttività.

Melfi e Pomigliano sono allo stato attuale delle cose le punte dell’iceberg, ma c’è da ricordare il mese di cassa integrazione a zero ore di Grugliasco o la riduzione della produzione a Mirafiori, con solo 4.095 lavoratori in servizio e con cassa integrazione anche tra gli impiegati.

Il fatto che l’Italia sembri dimenticata a se stessa lo si evince anche da fatto che è in Nord America che il gruppo ha pensato di spostare la produzione di alcuni veicoli in fase di lancio come la nuova Jeep Grand Wagoneer o le nuove Jeep Grand Cherokee.

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