I depositi marini di plastica potrebbero diventare risorse per l’automotive

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La fondazione olandese si propone di eliminare il 90% dei rifiuti dai mari entro il 2040
Rifiuti di plastica negli oceani

Quello della plastica abbandonata in mare è un gravissimo problema. Basta in effetti vedere le immagini relative alle vere e proprie isole da essa formate per capirlo. Nel corso degli ultimi anni, però, grazie ad una serie di progetti estremamente innovativi, il problema è diventato una reale opportunità. Anche per il settore automobilistico, che dalla plastica abbandonata negli oceani sta ricavando materia prima per i propri prodotti.

Lo hanno compreso alla perfezione alcuni marchi. Tanto da decidere di legare il proprio nome a campagne tese a pulire il mare dai rifiuti in plastica. A partire da Volkswagen, che proprio quest’anno ha provveduto ad estendere all’intera famiglia delle elettriche I.D. i rivestimenti in tessuto Seaqual. Tessuto il quale viene ricavato da materiali recuperati in mare e pet riciclato da bottiglie di plastica. Grazie a questo processo, almeno stando a quanto dichiarato dall’azienda tedesca, è possibile abbattere le emissioni del 30% rispetto ai tessuti e ai rivestimenti tradizionali.Plastica riciclata sulle Volkswagen I.D.

Ora, però, potremmo essere di fronte ad un vero e proprio salto qualitativo, in questo particolare ambito. A proporlo è The Ocean Cleanup, una fondazione olandese con sede operativa in Malesia. Andiamo a vedere di cosa si tratta e perché il suo progetto è così importante, almeno sulla carta.

Rifiuti plastici in mare

Secondo i calcoli fatti di recente, sulla superficie del nostro pianeta navigano 171 trilioni di frammenti di plastica, in gran parte microscopici, per un peso totale di 2,3 milioni di tonnellate. Per capire meglio il dato basterà ricordare che si tratta di quasi 300 volte la torre Eiffel, o dell’equivalente di 500mila elefanti.

Un problema che, peraltro, tende ad aggravarsi anno dopo anno. Ogni dodici mesi, infatti, vengono creati 275 milioni di tonnellate di nuovi rifiuti di plastica. Ad oggi il 75% di tutta la plastica prodotta in ogni parte del globo si è trasformata in un rifiuto e si prevede che la produzione sia destinata a triplicarsi entro il 2050. Mentre secondo una ricerca risalente al 2021, l’accumulo di rifiuti di plastica negli oceani triplicherà entro il 2040 arrivando a 29 milioni di tonnellate all’anno. 

Se questi dati non sono conosciuti dall’opinione pubblica, ci sono però immagini estremamente esemplificative in materia, ad esempio quelle che immortalano vere e proprie isole galleggianti di rifiuti. Immagini di fronte alle quali è impossibile girare gli occhi dall’altra parte.

La buona notizia è che ora tutti questi rifiuti potrebbero trasformarsi in una risorsa, anche per il settore dell’automotive. A prospettare questa soluzione è The Ocean Cleanup, partner di Kia con cui il costruttore asiatico ha sottoscritto una collaborazione della durata di sette anni. L’azienda, infatti, ha annunciato il recupero di un quantitativo pari a 55 tonnellate di plastica dai rifiuti di plastica galleggianti. L’operazione in questione ha avuto luogo usando allo scopo il materiale prelevato da Great Pacific Garbage Patch, una enorme piattaforma da 1,6 milioni chilometri quadrati composta dagli stessi.

Si tratta solo del primo passo

Se l’operazione relativa a Great Pacific Garbage Patch ha avuto un buon rilievo, occorre sottolineare come si tratti in effetti di un semplice primo passo verso una meta molto più ambiziosa. The Ocean Cleanup, infatti, si propone di avere un ruolo chiave nella rimozione del 90% dei rifiuti plastici al momento presenti negli oceani. Un processo che dovrebbe avere luogo entro il 2040. Kia EV9 (2024): L'esterno

Anche Kia ha deciso di interpretare la collaborazione con la fondazione in maniera ambiziosa. Se inizialmente si trattava di un’iniziativa benefica tesa alla sensibilizzazione sul rispetto dell’ambiente, ora è invece un vero e proprio piano industriale. Reso possibile anche dalla ricerca parallela sui materiali sostenibili, di cui proprio la plastica rappresenta una parte di rilievo.

In tale ottica, un ruolo decisivo è stato affidato a EV9, la nuova versione del SUV elettrico. Secondo Kia, infatti, la nuova versione presentata pochi mesi fa si tradurrà in una forte accelerazione per quanto riguarda l’utilizzo di nuovi materiali. Un novero che comprenderebbe non solo quelli biologici ottenuti dal recupero e dal riciclaggio di materiali di scarto agricoli, ma anche altri, Non è azzardato pensare che tra di essi potrebbero presto spiccare quelli provenienti dalla collaborazione con The Ocean Cleanup.

In termini di produzione, il nuovo corso del produttore sudcoreano, balzato di recente all’onore delle cronache per i ripetuti furti dei suoi modelli ispirati da TikTok, si tradurrebbe nell’utilizzo sino al 20% di materiali plastici riciclati entro il 2030. Una semplice tappa, peraltro, sulla strada del conseguimento di quella neutralità in tema di emissioni di CO2 fissato per il 2045.Pulizia dei mari, le operazioni di The Ocean Cleanup partner di Kia

A proposito dell’inquinamento da plastica

L’inquinamento da plastica rappresenta un tema sempre più delicato per l’opinione pubblica mondiale. Già presente sull’agenda delle Nazioni Unite dal 2012, a ostacolare la risoluzione del problema sono stati in particolare gli Stati Uniti. Un atteggiamento ispirato dall’importanza della plastica per la sua industria, tale da impedire accordi vincolanti in tal senso.

Se sino al 2015 nessun Paese se la sentiva di spingere per un trattato globale, da allora la situazione è però mutata profondamente. A ricordarlo è Erik Lindebjerg, che per conto del WWF sta guidando da Oslo la campagna contro il proliferare dei rifiuti plastici. Proprio lui ha supervisionato la pubblicazione di The Business Case for a UN Treaty on Plastic Pollution, analisi preparata in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation, in cui viene dettagliatamente indicata la reale utilità di un trattato globale, anche per le aziende.

Rifiuti plastici in mare

Secondo Lindebjerg, le immagini che circolano rendono del tutto evidente come sia stato raggiunto un punto di saturazione. La visibilità di quanto sta accadendo ha infatti contribuito a mutare l’atteggiamento dell’industria. A spiegarlo è stato Stewart Harris, alto dirigente di American Chemistry Council (ACC), secondo il quale a urtare il settore era l’aspetto vincolante di un trattato globale.

La spinta dell’opinione pubblica

Un’opposizione, quella delle imprese, venuta meno di fronte all’aggravarsi del problema. Tale da spingere la Ford a fondare la Ocean Plastics Leadership Network, invitando altri dirigenti di settore sensibili alla causa ambientale. La discussione in atto si è per ora concentrata sulla necessità di un’autoregolamentazione.

A favorire il cambiamento in atto, è anche la spinta sempre più potente dell’opinione pubblica. L’inquinamento da plastica fa realmente paura, tanto da essere considerato uno dei tre maggiori problemi ambientali, insieme al cambiamento climatico e all’inquinamento delle acque.

A rivelarlo è stato un sondaggio condotto nel corso del 2019, lo stesso anno in cui gli attivisti hanno deciso di scendere in piazza per protestare contro il cambiamento climatico. Anche loro sono consapevoli del problema rappresentato da modelli di produzione sempre meno compatibili con la salvaguardia dell’ambiente. In un quadro di questo genere, iniziative come quella di The Ocean Cleanup sono naturalmente le benvenute.

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